La metropoli nel caos “Mancano ambulanze Pochi i kit per le analisi”
Parlano un designer appena rientrato e un medico che cura un bollettino quotidiano
La città è deserta, nessuno può entrare né uscire. Si evita anche di mettere piede fuori di casa, se non per fare scorta di generi alimentari. In attesa del piano di evacuazione concordato dalla Farnesina con Pechino, gli italiani di Wuhan cercano la normalità perduta, il respiro consueto della metropoli da 11 milioni di abitanti, capoluogo della provincia di Hubei, che nel tempo è diventata la loro casa.
Dopo cinque giorni la pioggia ha lasciato il posto a un timido sole e “siamo andati fuori e così anche i nostri figli si sono potuti sfogare”, racconta Lorenzo Mastrotto, manager di una società della meccanica. La dispensa va tenuta d’occhio, ora che i rifornimenti dall’esterno devono fare i conti con la chiusura imposta dalle autorità. “Al momento nei supermercati si trova di tutto”, continua Mastrotto. Ma quando si esce dalla porta di casa ci si avventura “in una città deserta”.
“I COLLEGHI raccontano di una Wuhan blindata, un posto da cui nessuno può entrare né uscire. I mezzi di trasporto e i luoghi pubblici sono stati chiusi per evitare la diffusione del virus”. Marcantonio D'Antoni, 27 anni, designer di Catania, lavora a Wuhan. E’ tornato in Italia il 6 dicembre. “Quando ero lì ancora non si parlava dell'epidemia”, prosegue il ragazzo che nella metropoli, chiamata la “Chicago cinese” per i corsi d'acqua e i laghi che ne costellano il tessuto urbano, lavora per la Mogu Integrated Design. Le avvisaglie del fatto che qualcosa non andava sono arrivate dopo Natale: “Il primo messaggio in chat in cui un collega mi ha parlato del virus è del 27 dicembre - racconta al Fatto - Già erano cominciati i problemi, ma loro erano tranquilli perché Wuhan è una città industrializzata, non un villaggio rurale. Non si sentivano in pericolo. Dicevano: ‘Qui siamo al sicuro, non preoccuparti’. Poi si è scoperto che non era così”.
Chi la vive descrive la difficile condizione delle strutture sanitarie. “Dei 10mila posti letto proclamati nei giorni scorsi, solo una piccola parte risulta davvero pronta – racconta Francesco Barbero, infermiere di area critica che sul sito del virologo Roberto Burioni, Medical Facts, tiene un bollettino con il medico Xiaowei Yan – e le sirene che si sentono per la città sono in realtà trasferimenti tra i diversi ospedali. Poche le ambulanze operative per le urgenze”.
Le attrezzature scarseggiano, spiega ancora Barbero, anche quelle indispensabili per l’individuazione del morbo: “Il test ‘ vero’spetta solo a chi presenta esami alterati e segni di lesione polmonare alla lastra – continua il paramedico –. Dato il limitato numero di kit disponibili, i medici sono chiamati a esercitare grande parsimonia”.
L’ORGANIZZAZIONE mondiale della sanità ha espresso “fiducia” nella capacità dimostrata da Pechino di prevenire e controllare l’epidemia, ma la percezione di chi lavora sul campo è diversa: “I dati pubblicati finora rappresentano evidentemente solo la punta dell’iceberg – scrivono Barbero e Xiaowei Yan – aggiungendo confusione e incertezza davanti alle tante incognite di questo virus”. Lo stesso sindaco di Wuhan ha ammesso che i numeri del contagio potrebbero essere ben più alti”.
La chiusura della città impedisce anche i rifornimenti: “Le mascherine per i nostri colleghi sono arrivate alle porte di Wuhan, ma nessun corriere vuole rischiare di venir bloccato in uscita e quel prezioso carico sembra destinato alla polvere. L’unico aiuto arrivato conteneva uno stock di occhiali di protezione. Speriamo nella giornata di domani”.
Le mascherine “Sono arrivate alle porte della città ma nessun corriere vuole andarci per non essere bloccato”