Quando non c’erano le Sardine in piazza e votò appena il 37%
Correva l’anno 2014 (quattro governi fa, per dire) e l’Emilia-Romagna andava al voto. Anzi avrebbe dovuto. Si tennero regolari elezioni, certo. Vinte dal candidato del Pd, Stefano Bonaccini. La Lega volava oltre il 20 per cento, e Salvini esultava: “Risultato storico”. A questo giro c’è sempre Stefano Bonaccini vincente e Salvini perdente che ribadisce lo storico risultato. Cos’è cambiato? Non solo il segretario del Pd (allora Matteo Renzi, che era pure presidente del Consiglio). È cambiata l’affluenza alle urne: allora il 37 per cento, domenica il 66,7 per cento. Un successo straordinario? No, se consideriamo che quello di adesso è il dato più basso dopo quello (drammatico) del 2014. Commentando i dati dell’astensione Renzi ai tempi aveva minimizzato: “La non grande affluenza è un elemento che deve preoccupare. ma che è secondario”. Naturalmente non lo era affatto, e non basta a giustificazione del futuro leader di Italia Viva la constatazione (ovvia) che le elezioni le vince chi ha più voti. Non basta soprattutto pensando che allora Renzi era pure presidente del Consiglio e non c’è nulla che dovrebbe preoccupare di più il capo di un governo del disamore verso le istituzioni. La “non alta affluenza” era un’astensione di massa.
QUELLA DEL 2014 fu una vera e propria rivolta, in una regione che in un passato recente aveva portato a votare fino all’88 per cento degli aventi diritto. Se due elettori su tre preferiscono stare a casa vuol dire che la malattia della democrazia è grave. Poco importa chi vince. Il risultato di tre giorni fa non sancisce una guarigione, ma un miglioramento sì. Di cui bisogna dire grazie soprattutto alle Sardine, che hanno trovato la chiave per risvegliare la partecipazione, riportando i cittadini nelle piazze. Molto ha fatto anche Matteo Salvini che a forza di tirare la corda del razzismo ha terrorizzato gli elettori. Dunque ci sono gli errori di chi ha pensato di riproporre una caccia porta a porta all’immigrato, ma c’è anche l’intuizione delle Sardine. Certo, l’innesco è stato una reazione a questi metodi che vogliono passare per spicci e faciloni, in realtà sono evidentemente intimidatori. Le Sardine hanno riconsegnato a molti cittadini il desiderio di contare, di esserci, di dire la propria. Non è poco. Forse ha ragione chi dice che non bisogna porre loro domande a cui non sanno rispondere e a cui invece dovrebbe rispondere la politica. Le Sardine sono state fondamentali per il ruolo che hanno interpretato, per la funzione, come l’ha definita Stefano Bonaga, di rimettere in circolo il sentimento sopito della partecipazione. Un debito reso evidente dal fatto che dove la loro presenza è stata meno significativa, in Calabria, l’affluenza è passata dal 40 per cento al 44. Sono state l’abito di una rinnovata voglia di cittadinanza. Da un punto di vista identitario sono tutto e niente, al di là degli appelli all’educazione e alla moderazione del linguaggio. È il pericolo di chi si definisce esclusivamente in opposizione all’avversario: lo sa bene la sinistra che per vent’anni ha fatto finta di combattere Berlusconi (salvo poi guardarsi bene dal fare una seria legge sul conflitto d’interessi), dimenticando i propri valori (e abbandonando i propri elettori al loro destino). Saggiamente le Sardine si sono prese una pausa dai riflettori delle televisioni (che rischiano di cannibalizzarle a causa della loro fragilità contenutistica). La palla ora ripassa ai partiti della sinistra che dovrebbero tornare a essere autosufficienti almeno nella capacità di ristabilire le connessioni sentimentali evaporate. Non è detto che al prossimo giro ci sia l’ennesimo uomo nero contro cui mobilitarsi e le Sardine a salvarli dall’incapacità di parlare ai cittadini (o di dire qualcosa di sinistra).