’Ndrine, affari e ultrà neonazi: “Coi mafiosi siamo tutti amici”
Diciotto misure cautelari e una frode fiscale da 160 milioni. Un imprenditore in contatto con gli emissari lombardi del clan Morabito. E uno degli Hammerskin
Frodi fiscali per 160 milioni all’ombra della’ ndrangheta. Società cartiere, traffico di rifiuti e di quadri, prestanome, usura, minacce di sequestri di persona. Tasselli di un puzzle che precipitano Milano in un mondo di mezzo dove imprenditori spregiudicati e boss fanno affari. Ci sono figure note come Domenico Bosa, detto Mimmo Hammer, rappresentante del movimento neonazista meneghino Hammerskin e tra i capi della curva nord dell’Inter, già in contatto con trafficanti di droga montenegrini oltre che con uomini della cosca Flachi e della famiglia Pompeo.
IL GIUDICE ha ordinato 18 misure cautelari con accuse che vanno d al l ’ associazione all’usura e all’autoriciclaggio. L’indagine, coordinata dalla Dda di Milano, è stata condotta dai finanzieri del Gico, con lo Scico e i colleghi di Lecco e ha portato al sequestro di 34 milioni. Figura centrale è l’imprenditore Alessandro Magnozzi, dominus della frode all’Iva nel mondo delle telecomunicazioni. A lui il giudice, oltre all’associazione a delinquere, contesta l’aggravante mafiosa per i rapporti con i fratelli Antonio e Bartolo Bruzzanti legati alla cosca Morabito di Africo (Reggio Calabria). Con Bruzzaniti Magnozzi discute di un traffico di rifiuti che “potrà fruttare 4 milioni di euro all’anno”. In agenda ha anche il nome di Edoardo Novella, coinvolto in indagini di mafia e assolto, figlio di Carmelo il padrino lombardo che voleva l’autonomia dalla Calabria e per questo fu ucciso nel 2008. La frode si alimentava con decine di società, i soldi erano destinati all’estero. A questo però va aggiunto un particolare che poi particolare non è: gli interessi della mafia. L’indagine mette sul tavolo diversi personaggi che hanno fatto la storia criminale di Milano e brutti episodi di recupero crediti che coinvolgono lo stesso Bosa al quale viene contestata l’accusa di estorsione con l’aggravante mafiosa. A rivelarlo l’imprenditore Maurizio Varesi che con il gruppo di Magnozzi aveva un debito di 80 mila euro. Varesi racconta di un incontro con l’imprenditore e Bosa. “Magnozzi – spiega – mi disse: Maurizio ti devi far trovare, se ti dobbiamo sparare non abbiamo problemi a farlo. Mi fecero capire che mi avrebbero sequestrato”. Prosegue Varesi: “Bosa era legato alla famiglia Pompeo. Mi disse: non ti picchio qua solo per rispetto di Alessandro, comunque io voglio i miei soldi”. Tra i soci di Magnozzi c’è Gianpietro Paleari, già titolare della Brianza carta. Paleari emerge nell’indagine Fior di Loto dei primi anni Novanta collegato al boss Santo Pasquale Morabito. I contatti di Paleari con diversi malavitosi milanesi permetteranno a Magnozzi di intessere rapporti con i referenti della cosca Morabito. Non sarà un caso, secondo i pm, che Maria Morabito, nipote del superboss Giuseppe Morabito detto u Tiradrittu e moglie di Antonio Bruzzanti, sia stata assunta dalla Sistema Srl, società riconducibile a Magnozzi e amministrata dal siciliano Salvatore Bonaffini già condannato per mafia. Dirà un imprenditore: “Questi sono mafiosi della madonna, gente che mette milioni così sull’unghia”. Altra società cartiera, la Akanemo Srl, è amministrata dal calabrese Iginio Panaiia finito nel 2013 in una faida armata con la famiglia pugliese Magrini. Varesi spiegherà: “Magnozzi disse: noi lavoriamo con tutte le famiglie mafiose”.
Le minacce
Una vittima: “Mi dissero: se non paghi ti spariamo senza problemi”