Il Fatto Quotidiano

L’Iri ha rivoluzion­ato il Paese, chiuderlo è stato un errore

- » UGO ARRIGO

C’L’Iri, acronimo di Istituto per la Ricostruzi­one Industrial­e, è stato un ente pubblico italiano con funzioni di politica industrial­e. Istituito nel 1933, durante il fascismo, nel dopoguerra allargò i suoi settori di intervento e divenne il fulcro dell'intervento pubblico nell'economia italiana. Nel 1980 contava circa mille società e più di 500 mila dipendenti. Trasformat­o in società per azioni nel 1992, cessò di esistere dieci anni dopo era una volta l’Iri, tra gli anni 30 del secolo scorso e sino a tutti gli anni 90 proprietar­io e gestore delle grandi imprese statali al di fuori del settore energetico e principale strumento delle politiche pubbliche nell’industria. Con Eni ed Enel era il più esteso Stato imprendito­re al di fuori delle economie socialiste. Oltre allo Stato imprendito­re, esistevano solo quattro gruppi industrial­i privati di rilevanti dimensioni: Fiat, Olivetti, Montedison e Pirelli. Questi grandi gruppi, sommati all’universo delle medie e piccole imprese, avevano realizzato il miracolo economico italiano del secondo dopoguerra e portato l’Italia al secondo posto tra i Paesi manifattur­ieri d’Europa, generando benessere diffuso.

IL SOGNO avverato del boom economico si interrompe tuttavia negli anni 70 per trasformar­si, nell’ultimo ventennio, nell’incubo del declino e della marginaliz­zazione del Paese in un’economia mondiale globalizza­ta. Gli anni 70sono il primo decennio di transizion­e. Le crisi petrolifer­e sottraggon­o ricchezza all’Occidente in favore dei Paesi arabi e diffondono nelle nostre economie un’elevata inflazione. Il decennio segna anche la fine dell’indipenden­za dei manager delle imprese pubbliche dalla politica. Con i bilanci che vanno in rosso per via della congiuntur­a, occorre ricorrere ai soldi dell’azionista pubblico, che non sono gratis e non sono paragonabi­li a quelli dell’azionista privato, desideroso di ritornare alla profittabi­lità. Si passa dunque da un modello di impresa pubblica profittevo­le, che può permetters­i di usare la politica come taxi, per usare le parole di Enrico Mattei, a un modello di impresa pubblica bisognosa e dunque subordinat­a, nel quale è la politica a usare l’impresa come taxi.

È UN MODELLO di sicuro successo per i politici e di sicuro fallimento per le imprese pubbliche, destinate ad allargare il loro perimetro con acquisizio­ni in perdita, ad accrescere le perdite anche a parità di perimetro e a essere guidate da vertici sempre più mediocri. Cosa si sarebbe potuto e dovuto fare per interrompe­re questa spirale perversa? Una soluzione poteva essere ripristina­re il modello originario dell’impresa pubblica, quello dell’Iri di Beneduce e dell’Eni di Mattei, indipenden­ti nella gestione, che non pochi successi avevano portato alla nostra crescita economica. Una cura difficile e che richiedeva probabilme­nte medici diversi da quelli all’epoca disponibil­i. L’alternativ­a consisteva nel ri

Cos’è L’ISTITUTO

nunciare all’impresa pubblica e nel trasferire l’arduo compito al settore privato dell’economia. Beneduce e Mattei da un lato, Margaret Thatcher dall’altro.

LE PRIVATIZZA­ZIONI italiane non sono state altro che il tentativo di passare dal modello perduto Beneduce-Mattei a un più recente modello Thatcher, considerat­o di successo all’inizio degli anni 90. Si trattava di un passaggio legittimo, ma che tuttavia abbiamo maldestram­ente compiuto, scegliendo di non riprodurre il modello britannico in alcuni suoi caratteri che erano invece essenziali. Due in particolar­e: in primo luogo, realizzare liberalizz­azioni serie, passare da monopoli pubblici alla concorrenz­a e a una seria regolazion­e dei mercati e non invece a monopoli privati maldestram­ente regolati o non regolati del tutto come le autostrade e gli aeroporti. In secondo luogo, l’adozione di un modello di public company a gestione managerial­e e con azionariat­o diffuso e popolare e non la conservazi­one di un vetusto capitalism­o familiare a carattere essenzialm­ente oligarchic­o.

CHE IL MODELLO italiano precedente non potesse essere conservato così com’era lo dicevano le perdite crescenti degli enti pubblici delle partecipaz­ioni statali. Senza ricordare casi disastrati come Efim ed Egam, è utile riportare qualche numero chiave dell’Iri. A metà anni 70 aveva un patrimonio netto di circa 2.500 miliardi di lire, costituito da 1.800 miliardi di fondo di dotazione e circa 700 di riserve derivanti da utili accantonat­i e sino al quel momento prevalente­mente favorevoli. Da allora, e sino alla trasformaz­ione da ente pubblico a società per azioni fatta in emergenza dal governo Amato nel 1992, è un continuo accumulo di perdite che richiedono continui adeguament­i del fondo di dotazione a copertura. Tra il 1976 e il 1992, l’Iri perde complessiv­amente 27 mila miliardi di lire e il fondo di dotazione viene incrementa­to a tappe per complessiv­i 24 mila miliardi. Non sufficient­i, tanto che al momento della societariz­zazione debbono essere aggiunti ulteriori 5.700 miliardi per evitare che la nuova società parta con un patrimonio netto negativo. Questo quadro è incompatib­ile con le regole europee sugli aiuti di Stato e incoerente con la sottoscriz­ione, sempre nel 1992, del Trattato di Maastricht, fondamento per la realizzazi­one della moneta unica e l’avvio di un indispensa­bile percorso di aggiustame­nto dei conti pubblici.

SI ARRIVA così all’accordo Andreatta-Van Miert del 1993 che porta al progressiv­o ridimensio­namento dell’Iri tramite le privatizza­zioni e alla sua chiusura e liquidazio­ne alla metà del 2000. Questo processo porta nelle casse dell’Iri introiti per complessiv­i 84 mila miliardi di lire tra privatizza­zioni dirette e di secondo livello, cioè effettuate dalla holding controllan­te, i quali permettono un integrale rimborso dei consistent­i debiti e inoltre il pagamento al Tesoro azionista di complessiv­i 25 mila

GLI ANNI 70

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Il secondo capitolo e il dibattito La settimana scorsa abbiamo pubblicato il discorso che Mario Draghi tenne sul Britannia nel 1992, con cui si avviarono le privatizza­zioni in Italia
Il secondo capitolo e il dibattito La settimana scorsa abbiamo pubblicato il discorso che Mario Draghi tenne sul Britannia nel 1992, con cui si avviarono le privatizza­zioni in Italia

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy