Krug al Colle, fritti e ostriche: i menu raccontano l’Italia
Il pranzo è servito: ostriche e chianti (!) per le Onoranze centenarie a Galileo Galilei; Krug Brut Reserve nei ricevimenti quirinalizi; salame alla truppa del Reggimento Reale; fritto di capra a due gambe e un piede, seguito da bipede alato, per i festeggiamenti di Porta Pia... L’uomo è ciò che mangia, ma soprattutto ciò che dice di mangiare: Carta canta... e “i menu raccontano”, dal titolo dello sfizioso saggio di Roberto Liberi, Ammiraglio Ispettore Capo con la passione per la storia e la gastronomia.
PILUCCANDO dalla sua raccolta di oltre 300 menu, l’autore ha selezionato un centinaio di cartoncini, dal 1892 al 2010, dalla Belle Époque ai gala sfarzosi a bordo dei transatlantici, dai voli in Alitalia con papa Benedetto XVI – e le sue dietetiche crespelle all’ortica – ai pranzi ipercalorici di studenti, militari e sportivi, con sigari e sigarette serviti insieme al caffè, che Cr7 se li sogna. Cucina, grafica, storia lato sensu: questo è un libro da mangiare con gli occhi, ricco com’è di aneddoti sui costumi degli italiani a tavola, inclusi esattori delle tasse, mutilati di guerra, “rimpiconiti” (rincretiniti, n dr), bocconiani e scaramantici, i cui listini sono inghirlandati di ferri di cavallo, che richiamano i genitali femminili e allontanano il demonio.
La moda di attovagliarsi per i pranzi e le cene – seduti al desco e con le portate in ordine preciso e prestabilito – è relativamente recente: fu introdotta all’inizio dell’ 800 dal principe Kurakin e infatti si chiama “servizio alla russa” di contro al “buffet alla francese” in voga prima, quando la colazione si faceva in tarda mattinata, il pranzo nel pomeriggio e il soupé, lo spuntino, a mezzanotte. Leggenda vuole, invece, che Umberto I non mangiasse mai, soprattutto con la consorte e in trasferta a Monza: “Si siede a tavola con la moglie, non tocca cibo, si alza, si inchina, saluta e va da Eugenia (l’amante) per cenare e trascorrere la notte insieme”. Lunga notte, causa digestione: i menu prevedevano una dozzina o più di portate, seguendo la sequenza principale di minestra in brodo-pesce-arrosto, inframmezzata da relevé (carne), entrée (budini), légume (verdure), punch a la Romaine (sorbetto) e seguita da entremets (intermezzi dolci), formaggi, gelato... La lista diventa più semplice e snella solo dopo la seconda guerra mondiale, con l’introduzione di piatti fino ad allora considerati “poveri”, come cotolette e pasta asciutta, di cui l’esercito andava ghiotto e contro cui i futuristi scrissero il loro j’accuse“Abbasso la pastasciutta”: meglio la plastica mangiabile.
Il primo a valorizzare, oltre alle vivande, le bevande fu Brillat-Savarin con la Fisiologia del gusto (1825), suggerendo di cambiare più vini nel corso del pasto, al costo di abbinamenti improbabili come il succitato chianti con le ostriche o il barolo con le triglie. Il re degli alcolici è lo champagne, raccomandato persino dai medici: il dottor Roques, ad esempio, nella sua Physiologie médicale (1821), lo decanta come “liquore vivo, etereo, incantevole (che) scuote tutte le menti: gli uomini freddi, gravi, saggi si meravigliano di ritrovarsi affabili”. Tra gli italiani spiccano il capri bianco, i vini del Vesuvio, conosciuti già da Aristotele, e il dolcetto, il cui nome non deriva solo dall’uvaggio dolce ma anche dalle colline basse (“dosset” in piemontese) dei suoi vitigni. Al contrario, di acqua minerale ce n’è poca o niente.
Per decenni le francesi sono le bottiglie più corteggiate e gettonate, così come il francese è la lingua dei menu, almeno fino al 1907 quando Vittorio Emanuele III dispone motu proprio l’uso dell’italiano nella compilazione delle liste di corte, fino all’it alia nizz azio ne forzata del fascismo, con esiti tragicomici come il “volvano di pernici” ( vol-au-vent), il “filetto alla maggiordomo” e la “frittata avvolta” ( omelette ). Nella prima metà del Novecento anche a tavola trionfa il patriottismo, muscolare e bel
licoso: la salsa è “tripolitana”, il filetto “alla Taitù”, l’insalata “del deserto”, la bomba “Tricolore”, la torta “Vittoria”, il branzino “Mare Nostrum”, le palle “di Berlino”(in omaggio all’alleato nazista) e le Polardine hanno “ricordi di cammello”.
Godibilissime, e spruzzate qua e là, le curiosità culinarie sui piatti, le loro origini e preparazioni: dalle trote in blu, bollite vive previo colpo in testa, al Pan di Spagna che in realtà è genovese; dalla finta zuppa di tartaruga, per cui si usa una testa di vitello, alle pinne di pescecane al sugo; dal ristretto di canguro al filetto alla Wellington, inventato da chef particolarmente solerti nel compiacere il proprio cliente. Così è nato il famoso taglio di carne: rigorosamente in crosta per assomigliare agli stivali del duca inappetente.