Dopo 7 anni di caos la Sicilia torna al punto di partenza: ad aprile si vota per le Province
Enti con 6.500 dipendenti, costano 400 milioni l’anno e non danno servizi
Come
in un gioco dell’oca, sulle Province, la Sicilia torna al punto di partenza. L’Assemblea regionale siciliana ha varato la data, domenica 19 aprile, delle elezioni per il ripristino degli enti intermedi che nel marzo del 2013, l’allora governatore Rosario Crocetta giurò nel salotto televisivo di Massimo Giletti di voler abolire.
IN REALTÀ, ne commissariò soltanto i vertici, aprendo una lunga fase di costoso caos gestionale, riforme mancate e leggi regionali cassate dalla Consulta durata sette anni. Si torna alle vecchie Province, con le relative cariche e indennità, dunque, che in Sicilia dovevano garantire la manutenzione delle strade e il riscaldamento nelle scuole e che da sette anni riescono a malapena a pagare gli stipendi degli oltre 6500 dipendenti: oggi si chiamano Città metropolitane e Liberi Consorzi di Comuni, in virtù di una legge del 2015 voluta da Crocetta per ridurre i costi esorbitanti di enti che non sono previsti nello
Statuto siciliano e che oggi sono quasi tutti i situazioni di pre dissesto: a Siracusa l’ex provincia ha già dichiarato il default, a Messina il sindaco m et r op o li t an o Cateno De Luca ha chiuso l’ente e messo in ferie forzate i lavoratori, annunciando il fallimento.
Nel 2017, però, un’altra legge, questa volta elettorale, previde la costituzione dei nuovi vertici, con i relativi appannaggi. L’abolizione si era ridotta insomma al solo cambio del nome e la soluzione gattopardesca non convinse la Corte Costituzionale che bocciò la legge, costringendo l’assemblea regionale a varare una nuova norma, questa volta sulla scia della legge Delrio, che prevedeva elezioni di secondo livello.
Domenica 19 aprile andranno alle urne infatti solo i sindaci e i consiglieri dei 390 comuni siciliani, e non i cittadini per eleggere i vertici amministrativi di enti rivelatisi scatole vuote e veri e propri stipendifici che continuavano a macinare costi esorbitanti: almeno 400 milioni l’anno, visto che i tentativi di ridurre la spessa hanno prodotto, nel triennio 2015-2017, un trascurabile -13,14%, come ha certificato la Corte dei Conti del 2019 sulla spesa per il personale degli Enti territoriali: la Regione Siciliana paga troppi dipendenti poco qualificati e assunti con criteri dubbi.
L’atto finale Commissariate dal 2013, abolite per finta nel 2015, nel 2017 una legge resuscita poltrone e soldi, e ora...
NON SOLO: la Sicilia conta 2,97 dipendenti regionali ogni 1000 abitanti, un dato un po’ più alto della Sardegna (2,37), ma lontanissimo dalla Lombardia che ne ha appena 0,33 ogni mille abitanti.
“Gli Enti intermedi in seguito alle decisioni legislative degli scorsi anni sono rimasti scatole vuote, prive di competenze e con enormi criticità economico-finanziarie – dice oggi il capogruppo di Diventerà Bellissima, il movimento del governatore Nello Musumeci –. Abolire le Province senza avere creato un’alternativa funzionante ha portato al disastro che è sotto gli occhi di tutti. La fine della gestione commissariale certamente sarà un risultato positivo, tuttavia invece che ricorrere a elezioni di secondo grado a nostro giudizio era giusto ridare la parola direttamente agli elettori”.
“A oggi – dice Giorgio Pasqua del Movimento 5 Stelle – le Province devono raggiungere un obiettivo ‘esterno’, vale a dire la sistemazione della situazione finanziaria, che grazie al governo nazionale, con la riduzione del prelievo forzoso, si dovrebbe raggiungere nel giro di uno o due anni”.
E QUESTO, dice il capogruppo grillino in Regione, ha avuto effetti perversi sulla vita dei siciliani: “Siamo di fronte a situazioni limite, con solai e controsoffitti che cadono sulle teste degli studenti, strade provinciali sempre più dissestate e insicure, che permettono di affermare che i servizi dovuti dai Liberi consorzi ai cittadini non sono garantiti”.