La beffa: Salvini vota sì al referendum che costa 300 milioni
Alle urne il 29 marzo Dopo aver raccolto le firme per fare la consultazione sul taglio dei parlamentari, la Lega appoggerà la riforma
Un giochino da 300 milioni di euro. Questa è la cifra che Matteo Salvini farà spendere agli italiani per il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari che chiamerà l’Italia alle urne il 29 marzo. Referendum che, senza il soccorso della Lega sulle firme, forse non sarebbe passato. Perché è grazie ai sei senatori del Carroccio che è arrivata la spinta decisiva al referendum. Le 64 firme necessarie previste dalla Costituzione, che poi sono state anche superate (71), sono arrivate grazie al soccorso verde che ha sostituito i forzisti di Mara Carfagna, che all’ultimo hanno deciso di ritirarle.
E ORA ANDRÀ in scena un referendum dove non c’è bisogno del quorum e per cui si prevede di spendere circa 300 milioni, la stessa cifra spesa nel 2016 per la riforma costituzionale di Matteo Renzi. Il paradosso è che sarà una consultazione del tutto inutile, dato che il risultato è scontato. Già oggi i sondaggi danno il Sì al taglio al 90 per cento. Gli italiani, dunque, in larga maggioranza diranno Sì alla legge che porterà i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. Una norma così popolare per cui nessun partito ha il coraggio di schierarsi contro, anche chi forse vorrebbe, come Leu e Sinistra italiana. O un pezzo di Pd.
Ma torniamo alla Lega. Che, specularmente ai dem, è stata protagonista di un doppio salto carpiato. Quando era in maggioranza con i 5 Stelle ha sostenuto la riforma, continuando a votarla anche dall’opposizione, con l’ultimo voto aMontecitorio. Salvo poi chiedere il referendum confermativo. Che serviva a Salvini solo per aprire una finestra elettorale per un’eventuale crisi di governo dopo le Regionali in Emilia. Crisi che, data la vittoria del centrosinistra, non ci sarà. Alla Lega però era utile allungare la vita all’attuale legislazione, così da invogliare i parlamentari ad andare al voto con il vecchio numero di poltrone. “Io sono sempre a favore dei referendum, perché sono sempre per far decidere il popolo…”, ha detto il leader leghista per giustificare una scelta che andava contro i suoi stessi voti in Parlamento. E ora cosa farà il Carroccio in vista del 29 marzo? Il partito è diviso tra chi vuole scendere in piazza a sostegno del taglio “per intestarsi una legge assai popolare” e “non lasciare la piazza al solo Movimento 5 Stelle”, e chi invece vuole tenersi alla larga.
GIÀ PERCHÉ, al momento, se nessun partito è contrario al taglio, gli unici che faranno campagna per il Sì sono gli autori della norma: i pentastellati. Gli altri daranno indicazioni di massima, ma non si metteranno a far comizi. A sinistra non la farà il Pd che, al contrario della Lega, ha sempre votato contro durante il
Conte 1 per poi sterzare a favore col Conte 2. Tra i dem si sarebbe preferita una riforma organica, con modifiche all’intero sistema, compresa la legge elettorale. Ma dato che la riduzione dei parlamentari faceva parte dell’accordo di governo, hanno dovuto abbozzare. E votare Sì. Anche se al suo interno non sono mancate le voci critiche.
Come quella di Tommaso Nannicini, che è tra i promotori del Comitato del No, messo in piedi dalla Fondazione Luigi Einaudi. Lo stesso accade in Sinistra italiana e Leu, dove si è votato a favore del taglio in cambio di precise garanzie sulla legge elettorale. “Faceva parte dell’accordo di governo: l’appoggio al taglio ma al contempo una legge elettorale che garantisse la rappresentanza alle forze minori. Noi gli accordi li abbiamo rispettati, gli altri per ora no…”, afferma Loredana De Petris, che col Conte 1 aveva votato contro. Insomma, da queste parti si voleva utilizzare la legge come merce di scambio sul sistema di voto.
NONOSTANTE la compagine forzista sia la più nutrita tra i firmatari pro referendum, in FI la linea è quella di sostenere il taglio. “L’ordine di scuderia è per il Sì, perché la diminuzione dei parlamentari fa parte del nostro dna. Anche se avremmo preferito una riforma più strutturale, perché ora si dovranno ridisegnare i collegi”, sostiene il deputato Giorgio Mulè. Di tutt’a lt r o avviso il suo collega di partito Andrea Cangini, schierato per il No. “Nell’ultimo voto a Montecitorio hanno votato contro solo in 14. Chiaro che andare contro il populismo spaventa tutti e così sarà al referendum. Opporsi al taglio è impopolare e invece dovrebbe essere sacrosanto, perché qui si vuole mortificare la rappresentanza democratica e le istituzioni con la demagogia. Per un risparmio minimo che, come ha detto Cottarelli, sarà dello 0,007% della spesa, un caffè al giorno”, osserva Cangini. All’opposto c’è infine FdiI che, nei 4 passaggi parlamentari, ha votato sempre a favore del provvedimento. “Senza di noi questa legge non sarebbe mai passata”, ha esultato Giorgia Meloni dopo l’approvazione alla Camera. E ora anche FdI è pronta ad andare all’incasso a sostegno del referendum. “Non deve passare la narrazione che sia merito solo di Grillo e Di Maio…”, dicono.
ANDREA CANGINI (FI)
Opporsi al taglio è impopolare e invece dovrebbe essere sacrosanto, perché qui si vuole mortificare la rappresentanza democratica
GIORGIO MULÈ (FI)
L’ordine di scuderia è per il Sì, perché la diminuzione dei parlamentari fa parte del nostro dna. Anche se volevamo una riforma più strutturale