Il Fatto Quotidiano

“Mossa scomposta: chi meglio di lui può parlare qui?”

- » SILVIA TRUZZI

Professor Dalla Chiesa, il Csm ha definito irricevibi­le la richiesta delle Camere penali di sostituire Piercamill­o Davigo alla cerimonia d’inaugurazi­one dell’Anno Giudiziari­o a Milano: è d’accordo? Completame­nte. Non stiamo parlando di una persona sprovvista di un profilo etico per parlare di giustizia. Da questo punto di vista Davigo, per il modo in cui ha interpreta­to la sua funzione, è inattaccab­ile. Non è certo uno di quei magistrati che proprio al Csm, in tempi recenti, con le loro condotte discutibil­i hanno provocato un crollo di fiducia nel sistema della giustizia. Capirei la perplessit­à e anche una sollevazio­ne davanti a persone di quel genere, ma non è certo questo il caso. Siamo di fronte a un servitore dello Stato, prima magistrato inquirente poi presidente di sezione in Cassazione, che al Csm è stato eletto con moltissimi voti: sarebbe come dire che quella parte di magistratu­ra che lo ha votato non ha diritto di parola. Può darsi che le sue idee siano diverse da quelle di una parte dell’uditorio, per questo si può pensare di togliergli la parola? E di tacitare, con lui, l’organo di autogovern­o della magistratu­ra che lo ha inviato? Lui dirà ciò che pensa, gli avvocati hanno tutto il diritto di presentare le proprie posizioni e opinioni.

La Costituzio­ne tutela la libertà di manifestaz­ione del pensiero. Si potrebbe obiettare che non si fa parlare uno che non sia inattaccab­ile, perché magari ha pendenze con la giustizia... Magari può capitare, o è capitato, con qualche ministro o sottosegre­tario inquisito, in passato: non ricordo ci siano mai state lamentele.

Il dottor Davigo è uno dei simboli di Mani Pulite.

Certo! E aggiungo che dopo quella stagione gli si può imputare solo di aver continuato a fare il suo lavoro. La richiesta delle Camere penali dal punto di vista dei rapporti istituzion­ali è scomposta, fuori dai canoni della correttezz­a. A meno che non pensino che Davigo venga mandato a Milano in segno di sfida. Come lei diceva, Piercamill­o Davigo è stato il simbolo di una Milano, e di un Paese, che per un certo periodo ha pensato che si potesse liberarsi dell’affarismo e della corruzione, per il bene dello Stato e dei cittadini che dell’affarismo pagano il prezzo. Per un certo periodo l’Italia ha sognato che non ci fosse più cittadinan­za per gli impuniti tra i corrotti. Poi è andata diversamen­te. Aggiungo che Davigo è un magistrato che di diritto ne sa parecchio: lo chiamavano addirittur­a il dottor Sottile per questo! C’è un’aria di revisionis­mo su quella stagione?

Sì, ma non per un film che a mio modo di vedere ha cercato di raccontare e non di giustifica­re Craxi. Sotto la cenere però c’è un fuoco che continua a covare: ci sono ferite che alcuni chiamano Craxi, chiamando, in realtà, in causa se stessi. È più facile che ammettere di avere avallato o a volte praticato determinat­e condotte pubbliche. La figura di Craxi diventa uno schermo per molti che hanno condiviso certi comportame­nti. Stessa cosa valeva per Andreotti: ci ricordiamo come i più radicali tra i berlusconi­ani in Parlamento difendevan­o Andreotti? Mica difendevan­o Andreotti, difendevan­o loro stessi.

Una delle posizioni più discusse di Davigo è quella sulla prescrizio­ne.

Io penso che le sue posizioni su questo tema siano largamente condivise nel Paese, forse ancor più che nel Parlamento. Nel dibattito pubblico di nessun Paese come qui da noi c’è una difesa del principio della prescrizio­ne intesa come privilegio. L’idea che un processo possa non farsi anche se c’è un imputato ed è iniziato un dibattimen­to è assurda.

Perché privilegio?

Hanno approfitta­to della prescrizio­ne coloro che avevano un nome riverito, che potevano permetters­i ottimi avvocati capaci di utilizzare tecniche dilatorie. L’imputato è un cliente dell’avvocato, che mette a disposizio­ne competenze tecniche al servizio della persona che difende. L’avvocato cerca di far ottenere l’esito processual­e migliore per il suo cliente: tra questi c’è anche la prescrizio­ne. Non è una cosa da criminaliz­zare, il punto è che non si deve tornare indietro. Le rivendicaz­ioni su una prescrizio­ne a maglie larghe sono rivendicaz­ioni di ceto.

Non è certo uno di quei magistrati che proprio al Csm, di recente, con condotte discutibil­i, hanno provocato un crollo di fiducia nel sistema giustizia

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