“Mossa scomposta: chi meglio di lui può parlare qui?”
Professor Dalla Chiesa, il Csm ha definito irricevibile la richiesta delle Camere penali di sostituire Piercamillo Davigo alla cerimonia d’inaugurazione dell’Anno Giudiziario a Milano: è d’accordo? Completamente. Non stiamo parlando di una persona sprovvista di un profilo etico per parlare di giustizia. Da questo punto di vista Davigo, per il modo in cui ha interpretato la sua funzione, è inattaccabile. Non è certo uno di quei magistrati che proprio al Csm, in tempi recenti, con le loro condotte discutibili hanno provocato un crollo di fiducia nel sistema della giustizia. Capirei la perplessità e anche una sollevazione davanti a persone di quel genere, ma non è certo questo il caso. Siamo di fronte a un servitore dello Stato, prima magistrato inquirente poi presidente di sezione in Cassazione, che al Csm è stato eletto con moltissimi voti: sarebbe come dire che quella parte di magistratura che lo ha votato non ha diritto di parola. Può darsi che le sue idee siano diverse da quelle di una parte dell’uditorio, per questo si può pensare di togliergli la parola? E di tacitare, con lui, l’organo di autogoverno della magistratura che lo ha inviato? Lui dirà ciò che pensa, gli avvocati hanno tutto il diritto di presentare le proprie posizioni e opinioni.
La Costituzione tutela la libertà di manifestazione del pensiero. Si potrebbe obiettare che non si fa parlare uno che non sia inattaccabile, perché magari ha pendenze con la giustizia... Magari può capitare, o è capitato, con qualche ministro o sottosegretario inquisito, in passato: non ricordo ci siano mai state lamentele.
Il dottor Davigo è uno dei simboli di Mani Pulite.
Certo! E aggiungo che dopo quella stagione gli si può imputare solo di aver continuato a fare il suo lavoro. La richiesta delle Camere penali dal punto di vista dei rapporti istituzionali è scomposta, fuori dai canoni della correttezza. A meno che non pensino che Davigo venga mandato a Milano in segno di sfida. Come lei diceva, Piercamillo Davigo è stato il simbolo di una Milano, e di un Paese, che per un certo periodo ha pensato che si potesse liberarsi dell’affarismo e della corruzione, per il bene dello Stato e dei cittadini che dell’affarismo pagano il prezzo. Per un certo periodo l’Italia ha sognato che non ci fosse più cittadinanza per gli impuniti tra i corrotti. Poi è andata diversamente. Aggiungo che Davigo è un magistrato che di diritto ne sa parecchio: lo chiamavano addirittura il dottor Sottile per questo! C’è un’aria di revisionismo su quella stagione?
Sì, ma non per un film che a mio modo di vedere ha cercato di raccontare e non di giustificare Craxi. Sotto la cenere però c’è un fuoco che continua a covare: ci sono ferite che alcuni chiamano Craxi, chiamando, in realtà, in causa se stessi. È più facile che ammettere di avere avallato o a volte praticato determinate condotte pubbliche. La figura di Craxi diventa uno schermo per molti che hanno condiviso certi comportamenti. Stessa cosa valeva per Andreotti: ci ricordiamo come i più radicali tra i berlusconiani in Parlamento difendevano Andreotti? Mica difendevano Andreotti, difendevano loro stessi.
Una delle posizioni più discusse di Davigo è quella sulla prescrizione.
Io penso che le sue posizioni su questo tema siano largamente condivise nel Paese, forse ancor più che nel Parlamento. Nel dibattito pubblico di nessun Paese come qui da noi c’è una difesa del principio della prescrizione intesa come privilegio. L’idea che un processo possa non farsi anche se c’è un imputato ed è iniziato un dibattimento è assurda.
Perché privilegio?
Hanno approfittato della prescrizione coloro che avevano un nome riverito, che potevano permettersi ottimi avvocati capaci di utilizzare tecniche dilatorie. L’imputato è un cliente dell’avvocato, che mette a disposizione competenze tecniche al servizio della persona che difende. L’avvocato cerca di far ottenere l’esito processuale migliore per il suo cliente: tra questi c’è anche la prescrizione. Non è una cosa da criminalizzare, il punto è che non si deve tornare indietro. Le rivendicazioni su una prescrizione a maglie larghe sono rivendicazioni di ceto.
Non è certo uno di quei magistrati che proprio al Csm, di recente, con condotte discutibili, hanno provocato un crollo di fiducia nel sistema giustizia