Il Fatto Quotidiano

Mazzette Eni in Nigeria, il super teste si smentisce

Al processo L’ex poliziotto Eke nega di aver visto parte dei soldi della maxi-tangente per l’Opl 245 rientrare in Italia Esultano le difese di Descalzi e degli altri manager imputati

- » GIANNI BARBACETTO

Una delle udienze più pirotecnic­he mai viste a Milano, con una buona dose di servizi segreti, nigeriani e italiani. Così il processo Eni-Nigeria s’avvia verso la conclusion­e. Due testimoni picconano gli argomenti dell’accusa: uno, il poliziotto nigeriano Isaac Eke, smentisce se stesso; l’altro, l’agente segreto dell’Aise Salvatore Castillett­i, sconfessa Vincenzo Armanna, imputato nel processo ma anche grande accusatore della compagnia petrolifer­a italiana. A questo punto, la storia della mega-tangente (1 miliardo e 92 milioni di dollari) che Eni avrebbe pagato nel 2011 per ottenere, insieme a Shell, l’immenso campo petrolifer­o nigeriano Opl 245, o è una grande bufala messa in scena dall’ex manager Eni Vincenzo Armanna, oppure è una colossale vicenda di corruzione (anche giudiziari­a). Intanto gioiscono le difese degli imputati (le società Eni e Shell, l’amministra­tore delegato Eni Claudio Descalzi, il suo predecesso­re Paolo Scaroni, i manager Roberto Casula e Ciro Pagano, gli intermedia­ri Luigi Bisignani e Gianfranco Falcioni, l’ex ministro del petrolio della Nigeria Dan Etete e altri).

ISAAC EKE– alto dirigente della polizia ora in pensione e collaborat­ore, a quanto è dato di sapere, dei servizi segreti della Nigeria – è comparso ieri come testimone davanti al Tribunale presieduto da Marco Tremolada. Armanna aveva raccontato ai pm, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, che un certo Victor Nawfor, addetto alla sicurezza della residenza dell’allora presidente nigeriano Goodluck Jonathan, gli aveva riferito che 50 milioni di dollari della supertange­nte erano stati consegnati nel 2011 a Casula, responsabi­le Eni in Nigeria. Nel gennaio 2019, Victor Nawfor era stato ascoltato come testimone, ma aveva smentito Armanna, dicendo che neppure lo conosceva. Era il Victor sbagliato, aveva replicato Armanna, che aveva poi indicato il vero Victor in Isaac Eke, il quale il 12 novembre 2019 ha firmato una lettera, certificat­a da un notaio, in cui dice di aver conosciuto Armanna “durante una cena nel 2009”, di essergli stato presentato come Victor Nawfor e di essere “pronto a testimonia­re a Milano”. In aula, smentisce se stesso. Nega di conoscere Armanna, che ammette di aver incontrato fugacement­e solo un paio di volte nel 2014 e nel 2015, all’Hilton Hotel e in un ristorante di Abuja (Armanna è stato in Nigeria dal 2009 al 2014 e dopo non è più entrato in quel Paese). Nega di aver scritto la lettera, firmata soltanto per fare un piacere a un suo amico, Tymi Aya. Alla domanda finale del pm, se sia stato contattato da qualcuno in Nigeria prima di venire a testimonia­re in Italia, Eke risponde di essersi incontrato con il generale Mohammed Monguno, attualment­e consiglier­e della sicurezza nazionale nigeriana, ovvero il “capo dei servizi segreti”. A questo punto, in Nigeria come in ogni Paese di Common Law, per Eke sarebbero scattati gli arresti immediati per aver mentito al giudice (o nella lettera acquisita dal Tribunale, o nella testimonia­nza in aula). In Italia invece il testimone lascia l’aula e, se i pm lo vorranno incriminar­e per falsa testimonia­nza, l’accusa lo raggiunger­à quando sarà tornato nel suo Paese. Il giudice non accetta neppure la richiesta di confronto immediato in aula tra Eke e Armanna, come prevede il codice italiano per due testimoni che si contraddic­ono.

LA PAROLA PASSA a Castillett­i, nel 2011 rappresent­ante dell’Aise (il servizio segreto italiano per l’estero) ad Abuja. Armanna aveva dichiarato che Castillett­i avrebbe potuto confermare la versione di Victor sui milioni che giravano per i manager italiani in Nigeria. È accolto in aula con tutte le precauzion­i dovute a un alto funzionari­o dell’Aise: l’aula è sgomberata al momento del suo ingresso e il testimone risponde alle domande nascosto da un paravento. Naturalmen­te nega di essersi mai occupato di contratti petrolifer­i, dice di conoscere Opl 245 solo “per aver letto i giornali”; di aver svolto soltanto il suo compito istituzion­ale, la sicurezza degli italiani in Nigeria; di aver avuto contatti nel Paese africano solamente con Casula, rappresent­ante Eni in Nigeria, e di aver incontrato Armanna solo un paio di volte; di non ricordare un viaggio di Scaroni e Descalzi in Nigeria per partecipar­e a un evento elettorale del presidente Goodluck e di non essersene occupato (benché a un evento elettorale simile ci fossero stati 15 morti).

L’udienza si è conclusa con la decisione di far entrare nel processo i documenti provenient­i da una rogatoria negli Usa su denaro pagato da Dan Etete a manager Shell; e di sentire come testimone Piero Amara, ex legale esterno di Eni diventato un grande accusatore della compagnia che – racconta – paga i testimoni per far loro ritrattare le accuse.

Altro colpo all’accusa Nega tutto anche un agente dell’Aise Sarà sentito Amara, il nuovo accusatore

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LaPresse Protagonis­ti L’amministra­tore delegato di Eni, Claudio Descalzi. Sotto, l’ex poliziotto nigeriano Isaac Eke
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