Coloni, fuoco amico sul “Piano del secolo”
L’ultradestra boccia la soluzione americana: “La Cisgiordania deve essere tutta nostra”
Benjamin
Netanyahu avrebbe voluto già nella prima riunione di governo, domenica prossima, avviare subito le procedure per l’annessione della Cisgiordania – la Giudea e la Samaria per gli israeliani – inserita nel “Piano” del presidente americano Donald Trump. Ma la decisione potrebbe ancora essere soggetta a sfide legali perché l’attuale gabinetto è un governo ad interim. I leader israeliani, incluso Netanyahu, si erano astenuti finora dall’estendere la legge israeliana in qualsiasi parte della Cisgiordania, temendo sanzioni internazionali, perché l’Onu e la comunità internazionale considerano illegali le colonie oltre la Linea Verde; questo però non ha impedito che oltre mezzo milione di coloni vi si sia insediato in questi anni.
Ma il via libera di Trump è arrivato con la promessa di porre il veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu in caso di una risoluzione che condanni Israele. L’entusiasmo del primo ministro – che caduta l’ipotesi della richiesta di immunità affronterà presto tre processi per frode e corruzione mentre corre come candidato al voto del 2 marzo – non è però condiviso dai leader dei coloni, il cuore elettorale dell’ultradestra nazionalista. Nel Piano della Casa Bianca si prevede uno “Stato” palestinese e su Trump e Netanyahu arriva il “fuoco amico”.
IL CAPO del Consiglio regionale di Binyamin, Israel Gantz, dice che i leader degli insediamenti “stanno studiando ed esaminando i dettagli del piano in profondità”. Accoglie con favore “l'importante e rara opportunità di applicare immediatamente la sovranità israeliana sull’insediamento di Binyamin e su tutta la Giudea e la Samaria, come abbiamo richiesto da tanto tempo”. “Ma detto ciò – promette – non permetteremo il riconoscimento o l'istituzione di uno Stato palestinese, e non daremo una mano a isolare e soffocare gli insediamenti e mettere in pericolo la loro sicurezza”. Anche il capo del Consiglio Regionale della Samaria, Yossi Dagan, è felice della “opportunità storica” del Piano per l’annessione ma, avverte: “Ci sono elementi che mettono in pericolo l’esistenza dello Stato di Israele”, cioè lo Stato palestinese. “Il nostro Affare del secolo|”, conclude Dagan, “è un milione di ebrei in Giudea e Samaria”. Yohai Damari, capo del Consiglio regionale di Har Hevron, che spingeva per applicare la sovranità israeliana prima delle elezioni come voleva Netanyahu, così da cavalcare il tema per tutta la campagna elettorale, non vuol sentir nemmeno parlare di Stato palestinese. Nel cuore di tenebra del movimento suprematista ebraico alcuni gruppi sono ancora più duri. Yehudit Katsover e Nadia Matar, leader dell’organizzazione “Women in Green” e del “Movimento per la sovranità” sostengono che Israele deve annettere l'intera Cisgiordania. “Uno non fa accordi sulla propria patria”, è la reazione a caldo, “è un cattivo affare per Israele e solo l’idea di uno Stato palestinese è un’idea delirante e pericolosa”.
Il leader del partito di estrema destra ‘Otzma Yehudit’, Itamar Ben-Gvir. seguace del rabbino razzista Meier Kahane e leader del movimento anti-arabo, ce l’ha con “l'euforia e gli applausi” che ci sono stati alla Casa Bianca. “L’eccitazione – dice – ha nascosto il fatto che il governo israeliano ha accettato la nascita di uno Stato palestinese, ha consegnato il Monte del Tempio (la Spianata delle Moschee, ndr) alla Giordania, lasciato la maggior parte del territorio della Giudea e della Samaria ai palestinesi e impone il blocco della costruzione degli insediamenti per quattro anni”. “Non mi sembra – conclude – una gran vittoria”.