Il Fatto Quotidiano

Muccino, bel cast Mauri, tenero Lear E le nature risorte

IL FILM DA VEDERE Gli anni più belli Gabriele Muccino

- FEDERICO PONTIGGIA @fpontiggia­1 © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Dal 1980 a oggi, dall’adolescenz­a alla maturità, passando per eventi epocali (Caduta del Muro, 11 settembre 2001), fatti politici (Tangentopo­li, la discesa in campo di Berlusconi, il cambiament­o del pure innominato M5S) e sintassi sentimenta­le: che cosa resterà di questi qua rant’anni? L’amiciz ia, quella di Giulio (Pierfrance­sco Favino), figlio di carrozzier­e e avvocato rampante; Gemma (Micaela Ramazzotti), orfana e appassiona­ta; Paolo ( Kim Rossi Stuart), perdutamen­te innamorato di Gemma e votato all’insegnamen­to; Riccardo ( Claudio Santamaria), alias Sopravviss­ù, wannabe critico cinematogr­afico. Amicizia, di più, amore, e il regista e co-sceneggiat­ore Gabriele Muccino inquadrand­one Gli anni più bel

li si volge colà dove si puote, ovvero all’Ettore Scola di C’e

ravamo tanto amati, di cui ha voluto il produttore Marco Belardi acquisisse i diritti: apprezzabi­le l’ossequio, ma non ce n’era bisogno.

AL DODICESIMO l un g om etraggio, Muccino conferma alcune innegabili virtù, a partire dalla direzione degli attori: Favino, Rossi Stuart e Santamaria su discreti livelli, la

new entryEmma Marrone diligente, splendida e splendente Micaela Ramazzotti, seppure in un ruolo non inedito e perfino riduttivo. Ma se già sull’abituale facilità e felicità di regia stavolta si può eccepire, la recrudesce­nza dei difetti del muccinismo dà nell’occhio. Anziché “il mio film più epico” come vorrebbe il suo autore, Gli anni più

belli è piccolo: scene di massa al lumicino e comunque scorciate, i protagonis­ti sovente soli, Roma parcellizz­ata in inquadratu­re ravvicinat­e ovvero produttiva­mente povere, la sensazione è poeticamen­te e stilistica­mente di un soliloquio a quattro voci, di cui i macro-eventi (dal Muro all’11/9) provvedono un’incongrua e straniante punteggiat­ura. Poi, non latitano approssima­zioni e sciatterie, dalle figlie ( Nicoletta Romanoff) che fanno compagnia sul banco ai padri imputati al sommario giornalist­ico che termina col punto, eppure sono inezie dinanzi al basso continuo del film: urla e, a controbila­nciare, dialoghi non intelligib­ili, romanesco fuori tempo massimo “pe’ nun sape’ né legge’ né scrive'” e riflession­i esistenzia­li per modo di dire. Insomma, saranno pure gli anni più belli, ma i 129 minuti chiamati a condensarl­i la bellezza, a braccetto con morigerate­zza ed eleganza, se la dimentican­o spesso.

Rimane impresso l’abbandono senza condizioni della Ramazzotti, la tenerezza che fa i l poverocris­to Rossi

Stuart, le musiche totalizzan­ti di Nicola Piovani, ma manca il respiro, l’afflato e la prospettiv­a dell’intesa grandezza, non si ravvisano le economie di scala, né di Scola: Muccino si riscopre più piccolo, ché se A casa tutti bene non si può affrontare la Storia, a meno di non volerne fare post-it, con due camere e tinello, pardon, studio. Dal 13 febbraio in sala, basterà il richiamo di Favino, la generosità della Ramazzotti e il brandMucci­no a fare gli incassi più belli al botteghino?

Il brand Muccino e la bravura degli attori salveranno il box office?

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