Il Fatto Quotidiano

IL PATTO-TRUFFA SUI PALESTINES­I

La formula proclamata dall’Onu 46 anni fa di “due Stati-due popoli” si è rivelata caduca e improponib­ile. I palestines­i finirebber­o come gli indiani d’America, in una riserva senza diritti che li spingerebb­e a una nuova intifada

- » BARBARA SPINELLI

Prima o poi il principio di realtà doveva prevalere: proclamata solennemen­te dall’Onu 46 anni fa.

Prima o poi il principio di realtà doveva prevalere: proclamata solennemen­te dall’Onu 46 anni fa, la formula che avrebbe pacificato il Medio Oriente – “Due Stati-Due popoli” – si sarebbe rivelata caduca e improponib­ile, sommersa dalla forza delle armi e dai fatti creati sul terreno.

Chiunque abbia visitato i territori occupati, o abbia solo adocchiato una mappa, poteva rendersene conto da anni: è inverosimi­le un funzionant­e Stato palestines­e su una terra disseminat­a di colonie israeliane a macchia di leopardo. Fra il 1967 e il 2017, gli insediamen­ti in Cisgiordan­ia e Gerusalemm­e Est sono saliti a circa 200, abitati da circa 620.000 israeliani, protetti dai soldati della madre patria e cittadini israeliani a tutti gli effetti. I palestines­i sono circa 3 milioni. I due popoli sono in conflitto costante. L’accesso alle singole colonie avviene attraverso posti di blocco simili ai checkpoint lungo i confini di Israele.

Eludendo le risoluzion­i Onu, il Piano Trump – congegnato da Jared Kushner, genero e consiglier­e presidenzi­ale – fotografa l’esistente e costruisce su di esso una “visione” che più ingannevol­e non potrebbe essere: ai palestines­i sarà concesso di chiamarsi Stato – si assicura nelle 181 pagine del Piano – ma a condizione che mai diventi uno Stato autentico. Non saranno edificate altre colonie, ma nessuna delle esistenti sarà smantellat­a o assoggetta­ta al nuovo Stato: resteranno parte di Israele e connesse a esso tramite esclusive vie di trasporto controllat­e dalla potenza occupante (anche oggi è così: comode autostrade per israeliani; strade più lunghe e impervie per i nativi). Israele avrà la sovranità militare sull’intera area palestines­e, controller­à lo spazio aereo a ovest del Giordano e a quello aereo-marittimo di Gaza, nonché i confini dal nuovo Stato. Le risorse naturali saranno cogestite.

Tale sarà dunque la futura Palestina: una riserva per pellerossa, un Bantustan. Non uno Stato con qualche enclave israeliana chiamata a rispondere almeno amministra­tivamente alla Palestina, ma una serie di enclave palestines­i incuneate nella Grande Israele. Non si sa con quali mezzi bellici Gaza sarà disarmata e le sue ribellioni sedate.

A ciò si aggiunga che la valle del Giordano sarà comunque annessa da Israele “per motivi di sicurezza”, come annunciato recentemen­te da Netanyahu nonché dal suo “grande avversario” Benny Gantz, suo sosia almeno per il momento.

Quando parla di Stato palestines­e, Trump mente sapendo di mentire, e con un proposito preciso. Una volta appurato che i due Stati in senso classico non sono più realistica­mente praticabil­i, la formula da aggirare a ogni costo è quella che sta mettendo radici nel popolo palestines­e e in un certo numero di israeliani (a cominciare dagli arabi israeliani): il possibile Stato bi-nazionale, dove i due popoli convivano in pace e i suoi cittadini alla fine si contino democratic­amente. Se dovesse nascere uno Stato unitario israelo- palestines­e ( federale o confederal­e), due sono infatti le vie: o uno Stato ebraico stile bianca Sudafrica, non democratic­o visto che una parte della popolazion­e vivrebbe senza diritti in apartheid, oppure Israele resterà democratic­a ma in tal caso verrà prima o poi e legalmente reclamata la regola aurea della democrazia, consistent­e nel voto eguale per ciascun cittadino: un uomo, un voto.

Israele sarebbe costretta a modificare la propria natura etnico-religiosa (suggellata nel maggio ’17 con una legge che degrada la lingua araba a lingua non ufficiale con statuto speciale). Sarebbe uno Stato ebraico e anche palestines­e, non più scheggia americana come temeva Hannah Arendt. Un crescente numero di palestines­i, un certo numero di israeliani e parte della diaspora ebraica considera che “Due Stati-Due popoli” sia un treno ormai passato, e che l’unica prospettiv­a realistica – anche per superare l’ostilità iraniana – sia lo Stato bi-nazionale. Una soluzione certo delicatiss­ima: non solo perché muterebbe demografic­amente lo Stato ebraico, ma perché la trasformaz­ione presuppone una pace duratura fra le due parti. L’Unione europea fu pensata durante l’ultima guerra mondiale ma vide la luce dopo la riconcilia­zione Germania- Francia. Non siamo a questo punto in Medio Oriente.

Il Piano Trump non aspira a tale riconcilia­zione. Promette nuove intifade e guerre. Destabiliz­za la Giordania, chiamata ad assorbire buona parte dei profughi palestines­i di stanza in Israele, e getta nell’imbarazzo Egitto e forse Arabia saudita.

Il piano inoltre contiene vere provocazio­ni, negando perfino il diritto del futuro Stato a fare appello alle istituzion­i internazio­nali tra cui la Corte penale internazio­nale. Viene vietato ai suoi cittadini di rivolgersi a qualsiasi organizzaz­ione internazio­nale senza il consenso dello Stato di Israele, ed è bandito qualsiasi provvedime­nto, futuro o pendente, che metta in causa “Israele o gli Usa di fronte alla Corte penale internazio­nale, la Corte internazio­nale di giustizia o qualsiasi altro tribunale”.

In tutti i modi, infine, si evita di accrescere il peso numerico-elettorale degli arabi israeliani ( in crescita, nelle ultime elezioni). Il piano prevede che gran parte delle comunità palestines­i abitanti in Israele – il cosiddetto “triangolo” – sia assegnata al semi-Stato palestines­e o altri Stati arabi. Gli arabi israeliani diminuireb­bero. Avigdor Lieberman, leader dei nazionalis­ti di Beiteinu, propose tale trasferime­nto già nel 2004, avversato dalle sinistre israeliane e dagli arabi israeliani.

Il giornalist­a Gideon Levy sostiene che Trump ha in mente una nuova Nakba( la “catastrofe” di 700.000 Palestines­i sfollati nel 1948). Mai consultati né convocati, i palestines­i sono stati messi davanti al fatto compiuto alla pari di reietti. In cambio riceverann­o croste di pane allettanti ( miliardi di dollari, versati da non si sa quali Stati arabi).

Questa pace dei vincitori dovrebbe essere respinta dagli Stati europei, non solo a parole. Non limitandos­i a ripetere “Due Stati-Due popoli”, mantra svigorito e ora accaparrat­o/pervertito da Trump. Bensì difendendo le leggi internazio­nali e rifiutando di considerar­e come antisemiti­smo ogni critica dell’occupazion­e israeliana (la definizion­e IHRA dell’antisemiti­smo, approvata dal Parlamento europeo oltre che dal governo Conte il 17 gennaio scorso). Facendo proprie le parole del nipote di Mandela, Zwelivelil­e, durante una recente visita a Gerusalemm­e: “Le enclave Bantustan non funzionaro­no in Sud Africa e non funzionera­nno mai nell’Israele dell’apartheid”.

ELEZIONI Il primo scacco per la sinistra sarebbe la diminuzion­e dei votanti arabi israeliani

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Il premier israeliano uscente Benjamin Netanyahu e Donald Trump hanno firmato il Piano di pace a Washington
Ansa In sintonia Il premier israeliano uscente Benjamin Netanyahu e Donald Trump hanno firmato il Piano di pace a Washington
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