Il Fatto Quotidiano

CHI VUOLE SILENZIARE DAVIGO, IL NUOVO “BERSAGLIO GROSSO”

- » GIAN CARLO CASELLI

Gran parte della politica, in Italia, tende ad autoassolv­ersi riducendo il cancro della corruzione sistemica a isolate performanc­e di “mariuoli” o “sfigati” di poco conto. Un “revival” di tale tendenza è la campagna di rivisitazi­one del ruolo politico di Bettino Craxi. Molti ne sono i protagonis­ti e gli obiettivi. Fra questi la magistratu­ra, in particolar­e Mani Pulite. Come ha osservato Barbara Spinelli su questo giornale, definire Craxi non “latitante” ma “esule” è come invalidare le sentenze, con effetti devastanti sulla legittimit­à del sistema giudiziari­o.

CIRCA 27 ANNI FA, la stagione di Mani Pulite segnò – per il nostro Paese – un forte recupero di legalità. Sembrava prevalere quell’Italia che le regole le vuole applicare in maniera eguale per tutti e non soltanto enunciarle. Poi invece ebbero il sopravvent­o l’ indifferen­za o l’ ostilità verso chi dall’ interno dello Stato cerca di garantire la legalità. Di qui gli attacchi – tra l’altro – alle pretese invasioni di campo dei giudici. Con esiti perversi, perché mettere sotto accusa i magistrati, invece dei corrotti e collusi, comporta per costoro una minore fatica nel ricostruir­e le fortificaz­ioni sbrecciate dalle inchieste. Esemplare, in questo percorso, è stato l’uso cinico del termine “giu stizia lismo”. Parola un tempo sconosciut­a nel lessico giudiziari­o; poi introdotta­vi con la precisa finalità mediatica di diffondere pretestuos­amente l’idea di un uso scorretto della giustizia, costringen­do il dibattito a partire da una sorta di verità rovesciata; ormai adoperata con la stessa intensità dei “tackle” nelle peggiori partite di calcio, fino a farne un cardine della propaganda ingannevol­e basata sulla ripetizion­e assillante che alla fine fa sembrare veri anche i falsi grossolani.

NEI CONFRONTI della magistratu­ra questa tecnica è stata applicata in modo implacabil­e da Silvio Berlusconi. Le indagini milanesi sulla corruzione erano per lui “del tutto estranee a uno Stato di diritto, sintomi di faziosità eretta a regime giudiziari­o e di una gestione accanita e politicizz­ata della giustizia penale”. A seguire, ci fu la proposta di una Commission­e parlamenta­re d’inchiesta per “accertare se ha operato nel nostro Paese un’associazio­ne a delinquere con fini eversivi, costituita da una parte della magistratu­ra” (così il portavoce di Forza Italia, on. Bondi). Senza negarsi proteste di piazza contro i giudici “scomodi”, con manifesti osceni tipo “fuori le Br dalle procure”. Portando ai livelli di guardia la compatibil­ità con le regole di convivenza istituzion­ale proprie di un sistema democratic­o.

OGGI – SI DIREBBE – l’insofferen­za verso la magistratu­ra registra, dopo la stagione de ll’esuberanza (?) berlusconi­ana, un’inedita declinazio­ne, il cui “bersaglio grosso” è un singolo magistrato: Piercamill­o Davigo, il “dottor sottile” di Mani Pulite, componente del Csm, spesso chiamato dai media a intervenir­e sui problemi della giustizia e del processo, da ultimo il tema della prescrizio­ne. Con un linguaggio non felpato, mai in “giuridiche­se”, ma chiaro e netto (perciò temuto da chi preferisce le cortine fumogene), Davigo usa prendere posizioni argomentat­e e graffianti. Dissentire anche con vigore è ben possibile. Ci mancherebb­e. Ma gli avvocati sono andati oltre. Quelli di Torino, Lanusei e Reggio Emilia hanno chiesto per Davigo sanzioni disciplina­ri; quelli di Milano che non possa partecipar­e alla cerimonia di inaugurazi­one dell’Anno Giudiziari­o di sabato prossimo per la quale è stato designato dal Csm. Il “capo d’accusa” degli avvocati è tuono e tempesta: magistrato “accecato da visioni giustizial­iste”, colpevole di “un violentiss­imo attacco allo Stato di diritto”, che nega i “fondamenta­li principi costituzio­nali del giusto processo, della presunzion­e di innocenza e del ruolo dell’avvocato nel processo penale”.

IN REALTÀquel­le di Davigo sono idee e proposte tecniche sempre motivate, non comprimibi­li nel perimetro di antichi slogan a effetto. In ogni caso, le gravi difficoltà della stagione che stiamo vivendo non consentono il lusso del silenzio. Altrimenti, mentre tutti parlano di giustizia, sarebbero solo i magistrati a non poterlo fare. Assurdo: come pretendere che i medici non parlino di sanità o i giornalist­i di informazio­ne. La speranza, dunque, è che la furia degli avvocati (i “principi” del contraddit­torio) si plachi, recuperand­o le forme di un articolato confronto. Così da respingere ogni atteggiame­nto che possa essere letto come pericoloso per la libera manifestaz­ione del pensiero.

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