Il compagno Mauro inciampa sui Cesaro
L’ex sindaco comunista di Marano avrebbe preso tangenti dai fratelli di “’a purpetta”
C’è
un filo criminale che avrebbe unito il sindaco comunista e anticamorra del napoletano Mauro Bertini con gli imprenditori Raffaele e Aniello Cesaro, i fratelli imputati di camorra del più potente esponente di Forza Italia in provincia di Napoli, il senatore Luigi ‘ a Purpetta’ Cesaro.
Due mondi che avrebbero dovuto osteggiarsi e che invece sarebbero scesi a patti per spartirsi un bottino: 175.000 euro di tangenti, che i due Cesaros avrebbero corrisposto a Bertini per avere in cambio mani libere e delibere compiacenti sulla realizzazione dei capannoni del Piano di insediamento produttivo di Marano (Napoli), un affarone da 40 milioni di euro.
Da ieri Bertini, 75 anni, dagli anni 90 dominus di Marano, più volte sindaco e ora consigliere, è agli arresti domiciliari con accuse di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione. L’ordinanza firmata dal Gip di Napoli Maria Laura Ciollaro ricostruisce così i flussi degli incassi di denaro: 75.000 euro nel febbraio 2006 attraverso assegni, 50.000 euro in contanti nel 2008 e altri 50.000 euro nell’aprile 2009 per fermare una campagna denigratoria. Sotto processo a Napoli Nord dopo un lungo periodo di detenzione iniziato nel 2017, sono proprio i due fratelli Cesaro a vuotare il sacco ed a raccontare i dettagli di come, dove e quando avrebbero corrotto l’ex sindaco, che secondo un verbale di Aniello Cesaro del 19 luglio 2019, quando ricevette gli assegni “si lamentò di non aver ricevuto denaro contante”, e per fortuna un loro sodale, Angelo Simeoli, si offrì subito di monetizzarli: “M a u ro , tranquillo, te li cambio io”.
L’ASSUNTO di fondo delle indagini condotte dai Ros di Napoli agli ordini del tenente colonnello Gianluca Piasentin, e coordinate dal pm Dda Mariella Di Mauro, è che dietro al Pip di Marano e ad altre operazioni edilizie come l’acquisto pubblico di Palazzo Merolla e la riconversione della Masseria Galeota si siano celati i reinvestimenti del clan di camorra dei Polverino.
Il pm aveva chiesto un nuovo arresto per Raffaele e Aniello Cesaro ma il Gip l’ha negato perché il codice vieta le contestazioni a catena rispetto ai fatti già affrontati nell’ordinanza di arresto del 2017. Quell’indagine, e i suoi filoni stralcio, hanno lambito Luigi Cesaro, indagato per minacce a un tecnico comunale e poi per voto di scambio in favore del figlio, consigliere regionale alle elezioni 2015.
Deputato al momento dei fatti e poi eletto senatore, la posizione di Luigi Cesaro è nel limbo perché la Procura per quasi due anni non ha ottenuto una risposta dal Parlamento alla richiesta di utilizzare le sue intercettazioni indirette. Montecitorio e Palazzo Madama infatti si sono rimpallate a lungo la decisione. Passata poi definitivamente al Senato, in spregio a giurisprudenza che fissava la competenza alla camera di appartenenza al momento della notizia di reato. Una vicenda surreale rivelata dal Fatto quotidiano.
Dopo gli arresti di Aniello e Raffaele Cesaro, il pm ha scavato nelle loro relazioni con Bertini. La cui ultima elezione a consigliere nel 2018 è stata descritta così sul sito di Rifondazione: “Significativa affermazione della coalizione di sinistra alternativa che con il candidato sindaco compagno Mauro Bertini, già Sindaco Comunista per 10 anni, arriva al 16,51 % con l’appoggio di due liste, L’altra Marano al 10, 8% e Potere al Popolo al 4,1%, eleggendo 3 consiglieri. La scelta di non procedere con logiche settarie di autosufficienza ma cercando di unire la sinistra in alternativa al Pd si è dimostrata efficace sul piano elettorale”. Già.
Cè un filo che lo lega a Raffaele e Aniello Cesaro, i fratelli imputati di mafia del potente Luigi (Forza Italia)