Il Fatto Quotidiano

LA VERITÀ DIETRO IL “POLIPARTIT­O” MAFIA & POLITICA

- » MARCO LILLO

Dopo la cosiddetta “supplenza della magistratu­ra rispetto alla politica” è giunta l’ora della seconda supplenza, stavolta rispetto agli storici. La prima formula è stata coniata nella stagione delle inchieste sulla P2 e poi di Mani Pulite. A dire il vero, era e resta un po’ ambigua. Dal punto di vista dei pm somiglia a un alibi all’ingresso felpato delle indagini nel Palazzo degli intoccabil­i e dal punto di vista dei politici confina nell’eccezione il controllo di legalità sul potere. Come se – dopo la supplenza – si annunciass­e un rapido ritorno alla regola delle indagini sui criminali semplici, ben lontano dal Palazzo.

ORA LA NUOVA supplenza è di tipo culturale non giudiziari­a. Non si serve di ordinanze e sentenze, ma di libri. Lo Stato illegale, 182 pagine, 18 euro, Editori Laterza, di Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte è il miglior esempio di questo nuovo filone.

Di fronte a una cultura ufficiale restia a prendere atto dei fatti svelati nei processi, i magistrati che hanno fatto le inchieste e i dibattimen­ti sono costretti a sobbarcars­i il lavoro di giornalist­i e storici un po’ pigri. Così i due magistrati che già nel 2018 avevano scritto La verità sul processo Andreotti, tornano sul “luogo del delitto prescritto” per raccontare oltre alla vera storia del caso che li ha visti protagonis­ti come Procurator­e capo e aggiunto, il contesto storico nel quale si inseriva non solo il processo, ma soprattutt­o la rimozione che ne è seguita. Non è un caso se Giulio Andreotti incontrava nel 1980 i vertici della mafia, come non è un caso se la sentenza che ha ritenuto“commesso” il reato di concorso con l’associazio­ne a delinquere (la Cosa Nostra di Stefano Bontate) fino al 1980 sia stata travisata dai media. Quel verdetto doveva essere noto a tutti solo fino all'assoluzion­e post-1980. Mentre andava nascosto per la prescrizio­ne riconosciu­ta sui fatti “commessi” da Andreotti nel periodo precedente alla primavera di quell’anno.

Ora Caselli e Lo Forte inseriscon­o quella vicenda in una serie di fatti e la spiegano con atteggiame­nti culturali radicati nell’ethos del Paese. Si va dal processo per l’omicidio Notarbarto­lo alla fine dell’800, al fascismo che scarica il prefetto Cesare Mori fino agli Alleati che scelgono i sindaci mafiosi per andare a Portella della Ginestra, al caso Sindona, e alla vicenda esemplare dei cugini Salvo. La storia della politica della mafia, da Vito Ciancimino a Marcello Dell’Utri, si intreccia con quella dello Stato e ne spiega alcuni passaggi oscuri. Il libro pone al centro della scena il “Polipartit­o”, come lo chiamano i due ex magistrati, mutuando la definizion­e data al fenomeno dal prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa in un colloquio con l’allora senatore Giovanni Spadolini. La storia di questo connubio di forze che rendono potente la mafia illumina l’omicidio del presidente dell’Eni Enrico Mattei, il finto “sequestro” di Michele Sindona, l’omicidio di Giorgio Ambrosoli.

IL LIBRO rivendica le statistich­e eccezional­i degli arresti e delle condanne alla mafia durante la stagione di Gian Carlo Caselli a Palermo, ma non tralascia le assoluzion­i eccellenti di Cesare Musotto, presidente della Provincia di FI, del giudice Carnevale o dell’ex ministro Calogero Mannino. Gli autori raccontano le umiliazion­i inflitte dal Csm a Giovanni Falcone e si tolgono poi alcuni sassolini dalle scarpe descrivend­o le campagne di denigrazio­ne subìte da loro stessi dopo l’avvio dei processi ai politici. Non mancano alcune note amare sulle scelte del legislator­e e del Consiglio di Stato che hanno sbarrato la strada a Caselli e Lo Forte nella corsa rispettiva­mente per la Superprocu­ra antimafia e per la Procura di Palermo. Tutti i fatti sono inseriti in una prospettiv­a unica sorretta dalla tesi esplicitat­a sin dalle prime pagine del libro: non esiste lotta seria alla mafia senza lotta al polipartit­o.

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