Il Fatto Quotidiano

Bye Bye Europa: il Regno Unito si sveglia separato

BoJo festeggia l’addio all’Ue con menu autarchico. La piazza di Farage senz’alcol

- » SABRINA PROVENZANI

“L’alba di una nuova era”. Boris Johnson chiude così la lunga, travagliat­a relazione con l’Unione europea: passaggio storico di enorme portata simbolica, economica e geopolitic­a, che però il primo ministro è ansioso di gettarsi alle spalle. “La cosa più importante da dire stasera è che questa non è un fine ma un inizio. Il momento in cui sorge il sole e si apre il sipario su un nuovo capitolo. Un momento di vero rinnovamen­to e ricambio nazion al e”. Messaggio pre- registrato: nel momento fatidico Boris era a Downing Street con ministri, consulenti, funzionari e attivisti proBrexit. E menu autarchico: spumante inglese, blue cheese dello Shropshire, canapè di agnello, pollo arrosto, la molto patriottic­a salsa al rafano. Celebrazio­ni riservate, senza trionfalis­mi o ostentazio­ni e, anzi, con il diktat a funzionari e rappresent­anze diplomatic­he nel mondo di evitarle.

IL MEMENTO UFFICIALE è una moneta commemorat­iva da 50 centesimi con la scritta pace, prosperità e amicizia per tutte le nazioni datata 31 gennaio 2020. Le piazza è lasciata a Nigel Farage, che ieri ha twittato: “È finalmente giunto il giorno della liberazion­e. Una enorme vittoria per il popolo contro l’e st ab lishment”. Il suo Brexit Party ha festeggiat­o in piazza del Parlamento: festa contingent­ata, dalle 21 a poco dopo le 23, ora fatidica del bye bye alla Ue. Sotto il diluvio e senza alcol né fuochi d’artificio, per motivi di sicurezza, e cosa è un party inglese senza alcol? Attorno, il paese è sempre diviso fra vincitori e vinti, fra chi ha festeggiat­o e chi era in lutto, e l’uscita dall’Ue inaugura un periodo di enorme incertezza. Malgrado la propaganda ufficiale e il passaggio simbolico di ieri, Brexit non è affatto conclusa: a marzo iniziano i negoziati decisivi, quelli sul futuro dei rapporti commercial­i, e Boris vuole chiuderli in 11 mesi, senza estensioni. Tecnicamen­te troppo poco per un accordo onnicompre­nsivo, ma non per un compromess­o politico di massima che permetta a entrambe le parti di salvare la faccia, e poi elaborare negli anni a venire.

Sul piano domestico la strategia del Primo ministro ora prevede due passaggi: sanare le ferite con un piano di rilancio di tutte le regioni del Regno e investire in innovazion­e e tecnologia. Visione unitaria già rigettata a Edimburgo, dove in migliaia hanno marciato davanti al Parlamento contro Brexit e per l’indipenden­za scozzese, obiettivo del partito di Nicola Sturgeon saldamente al governo. I due elettorati sono sempre più sovrappost­i, con Brexit che fa da accelerato­re per il consenso popolare alla secessione da Londra: secondo l’ultimo sondaggio YouGov il sì, per la prima volta dalla sconfitta nel referendum del 2014, avrebbe la maggioranz­a.

E BREXIT RISCHIA DI FARE da catalizzat­ore anche per un prossimo referendum per l’unificazio­ne fra le due Irlande. I nazionalis­ti irlandesi del Dup sono usciti indeboliti dalle elezioni di dicembre: non sono più l’ago della bilancia che erano per il governo di Theresa May. Bagno di realtà che li ha indotti ad accettare la formazione di un nuovo governo, dopo quasi tre anni di vacuum, con i repubblica­ni del Sinn Fein. Ma l’Irlanda del Nord è sempre una bomba a orologeria: Boris ripete che, al termine del periodo di transizion­e, fra 11 mesi, non ci saranno controlli fisici fra Irlanda e Gran Bretagna: ieri la presidente della Commission­e europea Ursula von der Leyen lo ha di nuovo smentito, chiarendo che non solo sono inevitabil­i ma che saranno sotto la supervisio­ne europea. Se e quando quei controlli apparirann­o, l’Irlanda del Nord tornerà a essere una spina nel fianco, politica e anche di sicurezza, con i paramilita­ri di entrambi i fronti, repubblica­no e unionista, pronti a colpire. Ma rallegriam­oci: dal giorno del referendum, il 23 giugno 2016, l’ex premier David Cameron, che il referendum sulla Brexit l’ha indetto, ha incassato 1,6 milioni di pound per parlare di politica. Da luglio, quando si è dimessa da premier, Theresa May ne ha guadagnati 400 mila.

Il momento in cui sorge il sole e si apre il sipario su un nuovo capitolo

Un momento di vero rinnovamen­to e ricambio nazionale

BORIS JOHNSON

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