Imprese e sviluppo sostenibile Ecco i nuovi gattopardi “green”
Green-washing Da Eni a Enel e Intesa Sanpaolo: le società raccontano favole verdi, ma finanziano i combustibili fossili
Tra tutti i colori, secondo gli scienziati quello di cui l’occhio umano distingue il maggior numero di sfumature è il verde. In Italia le sfumature abbondano al punto che si vede verde anche dove, a ben guardare, l’ambiente è grigio.
È il greenwashing, la mano di pittura green passata su ciò che ecologico non è, in economia, finanza o politica per convincere consumatori, risparmiatori ed elettori della (inesistente) sensibilità ambientale di aziende, banche e partiti.
IL 18 OTTOBRE, Il Sole 24 Ore intervistava Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni secondo cui “i rifiuti sono il petrolio del futuro”. Ma nel piano industriale 2018-2021 di Eni si dice che l’80% degli investimenti, quasi 32 miliardi, andrà all’estrazione e produzione di idrocarburi, per far crescere i combustibili fossili del 3,5% annuo. Alle fonti rinnovabili andranno appena 1,2 miliardi per puntare sul “green diesel” prodotto dalle “bioraffinerie” di Venezia e di Gela. Peccato che l’Antitrust abbia appena multato per 5 milioni proprio l’E ni Diesel + per pubblicità ingannevole proprio sulle sue caratteristiche green.
GLI IMPEGNI DI ENEL Alla Camera il 15 maggio scorso il gigante elettrico nazionale ha presentato i suoi passi rispetto al Piano nazionale energia e clima per il 2030, richiesto dall’Unione Europea: l’ex monopolista ha promesso lo spegnimento degli impianti a carbone entro il 2025, il cosiddetto phase out. Ma in Cile invece Enel uscirà del tutto dal carbone solo nel 2040. Nel Paese sudamericano le popolazioni locali e l’ambiente sono colpite da centrali a carbone come quella di Bocamina, nella città di Coronel, descritta da Marina Forti su Internazionale.
Nel Paese però l’azienda ha ottime entrature: Enel Chile, che è la maggiore distributrice di elettricità, “è presieduta da Herman Chadwick Piñera, cugino del presidente della repubblica Sebastián e fratello del ministro dell’interno”. Non solo: la grande campagna di comunicazione (e pubblicità) di Enel sulla mobilità sostenibile non cita il fatto, lamentato dai proprietari di auto elettriche plug-in, che le tariffe di ricarica alle colonnine Enel X sono di 45 cent a kilowatt per un pieno di 25 euro per abbonamenti da 60 kw al mese, quando la stessa Enel vende l’elettricità per gli usi domestici a 22 cent per kw.
POI CI SONO LE BANCHEI due campioni nazionali, Intesa Sanpaolo e UniCredit, promettono sfracelli sull’attenzione ai cambiamenti climatici. Ma, come spiegato da un rapporto dell’a sso cia zio ne Re:Common, sono al decimo e undicesimo posto nella classifica mondiale stilata da una trentina di Ong degli istituti di credito che hanno finanziato di più l’industria del carbone nell’ultimo triennio.
UniCredit, secondo una inchiesta di Antonio Tricarico di Re : Com mon per Valori.it, “è il principale finanziatore delle società carbonifere turche Ic Ictas, Limak e Bereket Enerji per le centrali altamente inquinanti di Yenikoy, Kemerkoy e Yatagan”.
Intesa Sanpaolo, come hanno denunciato solo l’altroieri in una lettera di Greenpeace e Re:Common indirizzata al presidente Gian Maria Gros-Pietro e all’amministratore delegato Carlo Messina, nonostante i risultati mirabolanti annunciati anche nel corso del convegno “Intesa Sanpaolo motore per lo sviluppo sostenibile e inclusivo” ha finanziato con 77 milioni di euro l’azienda indiana Adani per il giacimento di carbone nel Galilee Basin, nel Queensland australiano.
Sempre Re:Commonil 6 dicembre ha scritto un’altra lettera a Carlo Messina chiedendo conto delle notizie riportate dalla stampa della Bosnia Erzegovina sulla partecipazione di Intesa Sanpaolo a un consorzio di credito internazionale con Sberbank e NLB Banka per finanziarie il 15% dell’impianto termoelettrico a carbone Tuzla 7.
GENERALILe assicurazioni di Trieste su spinta di Greenpeace , Re:Common e altre associazioni hanno fatto passi avanti per uscire dal finanziamento alle fonti fossili e dal carbone ma ammettono con grosse eccezioni. Generali investe in aziende che non hanno piani di abbandono del carbone in linea con gli accordi sul clima di Parigi, come la polacca Pge e la ceca Cez, che Greenpeace definisce “due delle compagnie più inquinanti d’Europa”.
L’AZIONE DI STATO D’altronde anche il governo italiano fa il “doppiogioco climatico”. A metà giugno l’Italia ha ottenuto il via libera definitivo della Ue alle norme, scritte dal ministero dello Sviluppo economico con l’autorità Arera e Terna, per varare il cosiddetto “mercato della capacità” nel quale gli operatori elettrici potranno vendere allo Stato la loro capacità di produzione elettrica. Ma in una nota congiunta Assoutenti, Casa del Consumatore, Greenpeace, Italia Solare ( l’as sociaz ione dei produttori di energia fotovoltaica), Legambiente e Wwf, chiedono al ministero dello Sviluppo economico di riscrivere le regole perché “lo strumento incentiva di fatto una corsa alla realizzazione di nuove centrali alimentate ancora a fonti fossili”.
PARAFISCALITÀ Dal 2010 al 2017 gli oneri generali del sistema elettrico sono stati pari a 101,1 miliardi, ai quali si sono sommati altri 77 miliardi di accise e Iva per un totale di 178 miliardi. Nello stesso periodo le bollette sono costate 440 miliardi: il carico fiscale e parafiscale è stato pari dunque al 40,5% della bolletta elettrica nazionale. Con questi fondi in otto anni sono stati erogati 2,7 miliardi per smantellare i siti nucleari, 2,5 miliardi alle Ferrovie (regime tariffario speciale) e solo 400 milioni per il Fondo bonus famiglia a favore di 1,7 milioni di famiglie in povertà assoluta e 3,2 milioni in povertà relativa e, dal 2014, 2,1 miliardi alle aziende energivore per ridurre i costi della bolletta. Nel 2017 alle fonti rinnovabili “e assimilate” (occhio alle parole) sono andati solo 12,4 miliardi.
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