Il Fatto Quotidiano

“Ma i processi estinti sono una patologia”

- G. B.

C’è nell’aria una voglia di restaurazi­one nel campo della giustizia. Ne ragiona Marcello Maddalena, già procurator­e e procurator­e generale a Torino.

Barricate della politica e dell’avvocatura contro la riforma della prescrizio­ne. Proteste contro la legge anticorruz­ione. Invocazion­e del bavaglio per un giudice non gradito inviato dal Consiglio superiore della magistratu­ra all’inaugurazi­one dell’anno giudiziari­o a Milano...

Sulla prescrizio­ne il discorso è delicato, perché bisogna conciliare due esigenze contrappos­te: da una parte non sprecare il lavoro fatto dalla giustizia, nel quadro dell’obbligator­ietà dell’azione penale, e dall’altra non tenere all’infinito un cittadino sulla graticola penale. Non è semplice. In altri Paesi la prescrizio­ne non corre più dopo che è partita l’azione penale. Vero è che nel nostro i processi sono lunghi, anche perché ci sono tanti gradi di giudizio: l’udienza preliminar­e, il primo grado, l’appello, la Cassazione, poi ancora l’eventuale rinvio a un nuovo appello e a una nuova decisione della Cassazione. Allora, intanto io non capisco perché sia diventata tanto fondamenta­le la questione della prescrizio­ne, visto che gli effetti della riforma si vedranno solo tra molti anni e c’è tutto il tempo per fare gli aggiustame­nti necessari. Ma poi c’è un’altra cosa che ritengo fondamenta­le.

Quale?

Chi è contrario a riformare la prescrizio­ne ha dalla sua la ragionevol­e obiezione che non si può tenere un cittadino sulla graticola per troppi anni. Ma allora perché non facciamo decorrere la prescrizio­ne non dal momento in cui è commesso il reato, ma dal momento in cui il cittadino viene informato di essere indagato? È allora, e non prima, che comincia a essere tenuto sulla graticola. La decisione di innocenza o colpevolez­za deve essere presa in tempi ragionevol­i, lo prevede la Costituzio­ne, ma poi scatta anche una sacrosanta differenza tra chi è ritenuto colpevole o innocente.

Qual è questa sacrosanta differenza?

Se la persona imputata è assolta in primo grado, è lo Stato che vuole continuare a tenerlo sulla graticola, dunque è ragionevol­e che continui a correre la prescrizio­ne. Se invece in primo grado è condannato e vuole ricorrere in appello, è sua la scelta di restare sulla graticola, dunque la prescrizio­ne può essere bloccata. Ha senso usare la prescrizio­ne come medicina per curare una disfunzion­e della giustizia, come l’eccessiva lunghezza dei processi?

In realtà la prescrizio­ne è essa stessa una patologia, perché quando scatta dimostra che il sistema non ha funzionato. E non dovrebbe essere usata per ridurre la lunghezza dei processi, che dovrebbe essere invece risolta con altre cure. Però è inevitabil­e che scatti, se le altre cure non ci sono.

È normale pretendere che un giudice non gradito non partecipi alla cerimonia d’ inaugurazi­one dell’anno giudiziari­o?

È inammissib­ile. In un Paese democratic­o dove c’è libertà d’espression­e del pensiero è inconcepib­ile non voler far parlare un giudice scelto dal Consiglio superiore della magistratu­ra. Si può non essere d’accordo con quel che dice il dottor Davigo, che spesso parla per paradossi – io sono quasi sempre d’accordo, ma capisco che qualcuno non lo sia – però in ogni caso guai se si pongono divieti e si chiede di bloccare la libertà di manifestar­e le proprie idee.

Non capisco perché sia diventata fondamenta­le la riforma Bonafede: gli effetti si vedranno tra molti anni e c’è tempo per abbreviare i processi

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Ansa A Torino Marcello Maddalena, 78 anni, è stato procurator­e e procurator­e generale di Torino

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