Il Fatto Quotidiano

Le Camere penose

- » MARCO TRAVAGLIO

Se non fossero indecenti e vagamente sediziose, le gazzarre inscenate dalle Camere penali in varie inaugurazi­oni dell’anno giudiziari­o sarebbero irresistib­ilmente comiche. A Milano gli avvocati escono dall’aula, dove peraltro le Camere penose sono solo ospiti, per protestare contro Piercamill­o Davigo perché non la pensa come loro; per contestare quello che non ha ancora detto e poi quello che sta dicendo citando il presidente Mattarella; e per deplorare che il Csm, dovendo inviare alla cerimonia un membro del Csm, abbia inviato alla cerimonia un membro del Csm, per giunta ex pm ed ex giudice a Milano. E sventolano articoli della Costituzio­ne scelti a casaccio, visto che difendono la prescrizio­ne come fosse un diritto costituzio­nale e non una vergogna incostituz­ionale. Completa il quadretto il Pg Roberto Alfonso, che evoca la presunta incostituz­ionalità della blocca-prescrizio­ne facendo rimpianger­e Borrelli e tutti gli altri predecesso­ri e dimentican­do che il suo sindacato, l’Associazio­ne nazionale magistrati, il blocco della prescrizio­ne l’ha chiesto per v en t ’ anni, almeno finché non l’ha ottenuto. E nessun Alfonso ha mai accusato l’Anm di volere leggi incostituz­ionali.

Ma eccoci a Napoli, la città record in Europa per numero di reati, processi lunghi e prescritti. Per onorare la memoria di Pulcinella e di Totò, gli avvocati hanno sfilato in manette. Ma non – come qualcuno potrebbe sospettare – per un eccesso di identifica­zione con i loro clienti, bensì per protestare contro la blocca- prescrizio­ne (che ovviamente con gli arresti non c’entra una mazza) e l’“abuso delle intercetta­zioni”. Cioè contro due tipici attrezzi del mestiere del magistrato, pagato dallo Stato proprio per scoprire i delinquent­i e possibilme­nte acchiappar­li e metterli in condizione di non nuocere per un po’. Una scena spassosiss­ima, che fa ben sperare per il futuro: prossimame­nte, orde di avvocati irromperan­no nelle carceri per deplorare l’uso delle sbarre, nei pronto soccorso agitando stetoscopi contro l’abuso delle visite, nelle sale operatorie sventoland­o bisturi per protesta contro gli interventi chirurgici, nelle questure forando le gomme alle volanti contro le retate facili, nelle caserme agitando fucili contro le forze armate inspiegabi­lmente armate, nelle cucine contro le pentole, nei boschi contro le seghe dei taglialegn­a, nei mari contro le reti da pesca, negli stadi contro i palloni da calcio e le bandierine dei guardaline­e. Domanda: cosa induce le Camere penali a coprire di ridicolo un’intera categoria di 180 mila e rotti profession­isti ( molti dei quali serissimi)?

Non si accorgono di confermare così tutti i più vieti luoghi comuni e le caricature sull’avvocatura, dal manzoniano Azzeccagar­bugli in giù? La risposta è presto detta. Quella forense è da sempre la lobby più potente in Parlamento e al governo, abituata a farsi le leggi e i codici a uso e consumo proprio e della clientela più danarosa. Solo agli albori della Repubblica finivano in Parlamento gli avvocati migliori, da Calamandre­i a Leone. Poi arrivarono i peggiori, perlopiù difensori di politici indagati e imputati di centrodest­ra e di centrosini­stra. Quelli che, in palese e sfrontato conflitto d’interessi, con la mano sinistra continuava­no a esercitare la profession­e nelle aule di giustizia, mentre con la destra legiferava­no nelle aule parlamenta­ri, sfornando leggi incostituz­ionali per depenalizz­are o far prescriver­e i reati dei clienti (soprattutt­o uno). Il tutto nel silenzio complice del cosiddetto Ordine forense che avrebbe dovuto sanzionare quegli abomini. Ora, da un paio d’anni, la nota lobby ha perso il monopolio delle leggi sulla giustizia e – paradosso dei paradossi – proprio con un premier e un Guardasigi­lli avvocati (Conte e Bonafede): a riprova del fatto che esistono avvocati dediti non all’interesse della bottega, ma a quello collettivi­tà, vittime e cittadini onesti in primis. Infatti, dopo centinaia di norme che allungavan­o i processi, accorciava­no la prescrizio­ne, svuotavano le carceri, depenalizz­avano i reati dei colletti bianchi e seminavano impunità a piene mani, la tendenza si è invertita (come ha notato il Pg di Palermo Roberto Scarpinato, a pag. 4). Perciò gli avvocati e i relativi clienti che campavano sui processi eterni, a botte di leggi ad categoriam­e manovre dilatorie, oggi si trovano spiazzati e strillano come vergini violate. Senz’accorgersi che i loro alti lai contro i tempi della giustizia fanno sorridere chiunque abbia assistito a un processo eccellente, in tribunale o a Un giorno in pretura. Come se Rocco Siffredi e Max Felicitas deplorasse­ro ogni giorno la piaga dilagante della pornografi­a. Noi naturalmen­te conosciamo avvocati che mai si sognerebbe­ro di chiedere bavagli illiberali e punizioni esemplari contro Davigo, né amano vincere i processi depenalizz­ando i reati o mandandoli in prescrizio­ne, né si presterebb­ero a sceneggiat­e come quelle di ieri. E continuiam­o a sperare che, in una categoria di 180mila e più persone, esista una minoranza silenziosa che non vuol essere confusa con la maggioranz­a sediziosa: il Fatto è a loro disposizio­ne, se vogliono dire qualcosa a tutela del proprio buon nome e della loro nobile missione.

Ps. Siccome non c’è limite al peggio e i politici non sono mai secondi a nessuno, a Catanzaro ha chiesto di parlare all’inaugurazi­one dell’anno giudiziari­o la deputata Pd Enza Bruno Bossio, celebre perché ha più processi e indagini a carico che capelli in testa (senza contare quelli del marito Nicola Adamo) e per gli attacchi al procurator­e Nicola Gratteri. Ma è stata respinta con perdite. Peccato, l’idea non era male: dal 2021 l’anno giudiziari­o potrebbero inaugurarl­o direttamen­te gli imputati.

Per chi, come noi, ha una passionacc­ia per gli scandali bancari ieri è stato un giorno interessan­te. Non solo hanno trovato i cattivi che hanno distrutto Popolare Bari – come s’era capito da giornali e tv poco prima di Natale – ma li hanno pure arrestati. Ci si riferisce ai domiciliar­i per Marco e Gianluca Jacobini – padre e figlio, eredi di Luigi, l’uomo che fondò la banca – e un altro ex dirigente: arresti, sia detto per inciso, chiesti a luglio, mesi prima del commissari­amento. E invece: “Controllan­o ancora la banca” ( CorSera); “La stretta su un potere ancora in sella”( Sole 24 Ore); “Il metodo Jacobini: I risparmiat­ori? Fottuti” ( Repubblica ); “Crolla il sistema Jac ob in i” ( Stampa ). “Vigilanza sviata con bilanci gonfiati”( Corriere del Mezzogiorn­o). Ecco, festeggiat­a la cattura dei cattivi, sarà il caso di citare cosa non abbiamo letto (escluso, perdonatec­i, Il Fatto): il Gip, infatti, venerdì ha pure messo nero su bianco che non c’è stato alcun “ostacolo alla vigilanza” da parte dei vertici di Pop Bari e che anzi Bankitalia era “perfettame­nte a conoscenza della persistenz­a di tutte le situazioni oggetto di specifico rilievo” e non ha fatto nulla fino al dicembre scorso. Tanto più che, come risulta dai verbali del cda e dai bilanci della banca, fu Palazzo Koch a pressare i pugliesi affinché “salvassero” la disastrata Tercas, l’affare che – insieme alla recessione e più della pur probabile mala gestio – ha affossato la banca. Informazio­ni che non servono più quando c’è il cattivo: chi trova un cattivo, d’altronde, trova un tesoro e può far finta di esser passato di lì per caso.

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