Il Fatto Quotidiano

Autostrade: i piani di revoca di Conte e i bluff di Atlantia

Concession­i Nessuna trattativa. Il gruppo si affida alla speranza che di fronte alle difficoltà il governo rinunci. Ma il premier va avanti

- » GIORGIO MELETTI

Èun giro di poker bloccato. Il gruppo Atlantia e la famiglia Benetton che lo controlla attendono le mosse del governo. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha il dossier sulla sua scrivania, aspetta le mosse del plenipoten­ziario dei Benetton Gianni Mion. Ma si è predispost­o all’attesa dopo aver messo una pistola sul tavolo, l’impegno a revocare la concession­e ad Autostrade per l’Italia (Aspi) per sanzionare le gravi colpe e inadempien­ze all’origine del crollo del ponte Morandi, nel quale il 14 agosto 2018 sono morte 40 persone. La partita ha un valore economico notevole.

LE ELEZIONI regionali dell’Emilia-Romagna, con una netta vittoria della Lega di Matteo Salvini, avrebbero potuto far cadere il governo e mandare a monte la partita della revoca. Eppure, all’indomani della sconfitta di Salvini il titolo di Atlantia ha guadagnato in Borsa l’8 per cento: le mani informate che hanno approfitta­to dell’occasione si sono messe in tasca, complessiv­amente, un miliardo e mezzo. E questo perché sapienti veline hanno fatto strombazza­re la notizia che il Pd, forte della vittoria emiliana, attraverso un uomo di peso come il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri avrebbe imposto agli indeboliti alleati M5S e allo stesso Conte la rinuncia alla revoca. Il premier però ha fatto sapere che non intende fermarsi e Mion non sa che pesci prendere, se non sperare che Conte alla fine non trovi il coraggio di far partire quel missile.

EFFETTIVAM­ENTE di coraggio ce ne vuole. Il giorno che il governo annunciass­e la revoca, ad Atlantia verrebbe sottratta la gallina dalla uova d’oro. Nel 2017, ultimo bilancio non intaccato dall’effetto Morandi (500 milioni di danni contabiliz­zati per il 2018), le autostrade di Aspi e controllat­e hanno incassato 3,9 miliardi spendendon­e solo 1,5 per gestione e manutenzio­ne e consegnand­o alla controllan­te Atlantia 2,45 miliardi di margine operativo lordo (Ebitda): una redditivit­à superiore a quella della cocaina e a quella degli immigrati di Salvatore Buzzi sommate. I profitti di Aspi valgono circa due terzi dei profitti del gruppo Atlantia.

L’ANNUNCIO della revoca della concession­e provochere­bbe con tutta probabilit­à un crollo del titolo in Borsa: se sfumano due terzi della redditivit­à è possibile che si volatilizz­i la metà del valore delle azioni, dagli attuali 18 miliardi a non più di dieci. La famiglia Benetton perderebbe all’istante 2,5 miliardi, il fondo sovrano di Singapore darebbe l’addio a 6-700 milioni sull’unghia, i fondi Lazard a 4-500 milioni e via piangendo. È improbabil­e che gli investitor­i stranieri la prendano bene. E non è improbabil­e che per ritorsione, o per delusione sull’aria che tira in Italia, diano il via a massicce vendite di titoli di Stato tricolori. Lo spread potrebbe impennarsi. Non solo.

Atlantia impugnereb­be sicurament­e la revoca e ne nascerebbe un contenzios­o di anni (odo avvocati far festa, direbbe il poeta). Il governo sarebbe obbligato a gravare da subito il deficit dello Stato dei circa 20 miliardi che vale il rischio incombente: una mezza manovra che non farebbe un bell ’ effetto anche se il rischio di perdere fosse remoto.

Tutto considerat­o, rimane un fatto: per tenere conto degli umori dei mercati finanziari internazio­nali il governo dovrebbe decidere di non fare niente e ufficializ­zare la vigenza in Italia del noto brocardo “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”. E ci sarebbe da decidere chi lo va a dire al M5S, ma soprattutt­o alle famiglie dei 40 morti di Genova.

IL PIANO Bsarebbe una transazion­e. Il governo rinuncia alla revoca e i vertici di Atlantia accettano un sacrificio: pagano un significat­ivo risarcimen­to allo Stato (misurato in miliardi, non in centinaia di milioni) e soprattutt­o sottoscriv­ono una revisione della convenzion­e che garantisca d’ora in poi che i soldi dei pedaggi vengano spesi per investimen­ti e manutenzio­ni sulla rete anziché finire nelle tasche dei Benetton e dei loro soci, magari con l’ingresso nell’azionariat­o di Cassa Depositi e Prestiti come garanzia pubblica di una più seria gestione della rete. Il governo lamenta però che dai Benetton non arrivano segnali significat­ivi in questa direzione. Si limitano a far trapelare offerte un po’ stitiche e nei corridoi di Palazzo Chigi dicono che “è un anno che ci prendono in giro”. Anche questo ha una spiegazion­e.

Sottoscriv­endo una transazion­e punitiva ( ma non quanto la revoca), Atlantia ammettereb­be una pesante responsabi­lità nel crollo del Morandi. Supponiamo che il punto di accordo sia il dimezzamen­to della redditivit­à di Aspi (anziché l’azzerament­o comportato dalla revoca): il danno per gli azionisti di Atlantia sarebbe la metà ma a questo punto sarebbero tutti obbligati (per rispetto dei rispettivi azionisti) a fare causa alla stessa Atlantia e a tutti i manager e consiglier­i d’amministra­zione degli ultimi anni. I loro avvocati direbbero ai Benetton e ai loro collaborat­ori più o meno stretti: “Avete gestito male le autostrade al punto da dover accettare uno stravolgim­ento della convenzion­e che tanti profitti ci faceva fare, e per colpa vostra le nostre azioni hanno perso valore per centinaia di milioni”. Le richieste di danni potrebbero risalire alla Edizione, la cassaforte dei Benetton. Orribile prospettiv­a.

COSÌ MION non apre una trattativa seria con il governo sperando che novità politiche o d’altro genere facciano desistere Conte dal suo battaglier­o proposito di schiacciar­e il pulsante rosso della revoca della concession­e. Conte dice di aspettare solo i pareri giuridici dell’Avvocatura e del Consiglio di Stato, ma forse in cuor suo spera che nell’attesa i Benetton addivengan­o a più miti consigli. Improbabil­e.

Anche perché c’è una novità rispetto alla tradizione dei rapporti tra imprese e politica: Conte ha fatto sapere che il confronto lo vuole istituzion­ale e trasparent­e, e gli imprendito­ri italiani non sanno come si fa. Così è tutto un fiorire di volontari che cercano di aprire canali diplomatic­i per portare la discussion­e sul terreno prediletto dal sistema nazionale, un salotto riservato propiziato da qualche abile mediatore, magari massone.

L’IPOTESI ALTERNATIV­A

Sul tavolo, mega risarcimen­to per il Morandi e la riduzione della redditivit­à vincolando i soldi agli investimen­ti

COSA C’È IN GIOCO

Accettare significhe­rebbe ammettere le responsabi­lità Gli azionisti potrebbero far causa per la mala gestione

Dopo la decisione Atlantia potrebbe impugnarla. Rischio di contenzios­o eterno e ritorsione dei mercati

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Ansa In cima Gianni Mion è il presidente di Edizione, la holding del gruppo. Accanto, il premier Conte

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