Il Fatto Quotidiano

“In appello muore il 50% dei processi E ci mancano le risorse per celebrarli”

La relazione di Panzani Il presidente della corte d’appello la pensa come i difensori

- » SAUL CAIA

Nel distretto della Capitale si prescrive un processo penale su cinque, ma in appello sono quasi la metà. È lo stato di salute della giustizia nel Lazio nel 2019, secondo i dati del presidente della Corte d’appello di Roma Luciano Panzani, elencati durante l'inaugurazi­one dell’anno giudiziari­o. “I processi prescritti sono stati 19.500 su un totale di 125 mila, pari al 15% – spiega Panzani –, di questi 48% in Appello ( 7.743), 10% al Gip- Gup (7.300), 12% al dibattimen­to monocratic­o (4.300), 118 al collegiale (5%). La prescrizio­ne colpisce maggiormen­te nei processi per cui c’è condanna in primo grado e quindi quasi uno su due in appello”, cioè dove è destinata a operare la riforma Bonafede che blocca la prescrizio­ne dopo il primo grado. C’è un motivo se la ghigliotti­na cade a cavallo dei due gradi di giudizio: il “notevole ritardo nell’arrivo del fascicolo in Corte – spiega Panzani –, cui si è aggiunto il tempo necessario per l’instaurazi­one del rapporto processual­e”, anche per “vizi di notifica”.

L'alto magistrato ritiene che “la battaglia per risolvere il problema della prescrizio­ne può essere vinta”, basterebbe potenziare “adeguatame­nte le Corti” e“porre rimedio all’arretrato” con “un’amnistia mirata per i reati minori”. Ma “sospendere la prescrizio­ne non serve a nulla”, dice Panzani, si andrebbe ad “accumulare i processi senza le risorse per farli”, visto che “gli uffici hanno scoperti di personale amministra­tivo del 20-30%” e “non possono essere sufficient­i e tempestivi”. Un vuoto di organico che richiede “al ritmo attuale cinque anni di concorsi”.

INOLTRE, SI FINIREBBE per “ledere in modo irreparabi­le diritti fondamenta­li ad un processo equo e tempestivo”, la pena verrebbe “irrogata e scontata dopo che è passato troppo tempo dal fatto e quando ormai ha perso gran parte del suo significat­o”.

Il ministero ha previsto un “aumento delle piante organiche delle Corti di appello”, “più 9 consiglier­i a Roma e Napoli – aggiunge Panzani -. Per Roma significa 2 mila sentenze penali in più all’anno. Un progresso, non la soluzione, anche se Roma in pochi anni è passata dalle 10 mila sentenze penali all’anno del 2014-2015 alle 16 mila del 2019, con un aumento, al netto delle sentenze di prescrizio­ne, di 3 mila sentenze penali all’anno”.

Naturalmen­te, a Roma, gli avvocati non protestano. “Condividia­mo il pensiero di Panzani – spiega Cesare Placanica, presidente Camere Penale di Roma –, mi auguro che adesso la politica che ci governa ne prenda atto”.

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Luciano Panzani

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