IL VIRUS CINESE, I CONFINI DEL VACCINO
Al Festival del Cinema di Torino, lo scorso ottobre, è stato presentato il più strano dei documentari, intitolato Vaccini. È strano perché la parola “vaccino”, in questo film, non viene usata come metafora per parlare, ad esempio, del contagio di svastiche e di altre celebrazioni di Mussolini e Hitler che sta inondando in questi giorni (i “Giorni della Memoria”) l’Italia.
QUI “VACCINO” ha il suo significato letterale: è quell’intervento medico contro cui, appena pochi mesi fa, interi gruppi di cittadini, indottrinati e infuriati, e di partiti prontamente arruolati, si scagliavano per esortare a rifiutare di vaccinare i propri bambini. Lo faccia “chi vuole” e pazienza se i bambini liberamente e orgogliosamente non vaccinati contageranno i bambini con soglia di immunità più fragile. E comunque il morbillo e la poliomielite non esistono più. E nessuno ha diritto di interferire con le idee di chi ha partecipato ai comizi e ha letto tutto in rete sulla macchinazione delle multinazionali farmaceutiche, pericolose quanto Soros, che si arricchisce inondando il mondo di africani in sostituzione dei bianchi.
Ma il film di cui vi sto parlando non sta al gioco della politica, e dello squallido gesto con cui è stata trasformata in credo politico la battaglia delle vaccinazioni.
Vaccini, il film di Elisabetta Sgarbi, già autrice notata per la bellezza delle sue immagini e la capacità di narrare, ignora sia l’immagine del mostro (il mondo senza vaccino) sia lo scontro. Dà invece la parola a personaggi che sanno e che pensano (dal tenace difensore delle vaccinazioni Burioni al filosofo Cacciari, dal medico di Lampedusa Bartòlo a donne di scienza come Lorusso e Azzari). Queste persone parlano e spiegano come un fatto ovvio un pilastro di civiltà – accreditato, conosciuto – a persone normali, che vengono chiamate a raccolta, nonostante l’apparenza di routine dell’argomento, con due espedienti che raggiungono in pieno lo scopo: una musica di trionfo e di festa, come in un capodanno viennese. E la partecipazione straordinaria di giocattoli e robottini che implicitamente dicono due cose: che la vaccinazione riguarda i bambini, e che il gioco vale la candela.
Ne parlo nel giorno in cui una frenesia da vaccino sembra avere invaso il nostro Paese, a causa degli eventi cinesi, dando al film della Sgarbi un che di profetico. Perché proprio mentre mi accingo a scriverne mi accorgo che sulle porte di locali di Roma (bar e ristoranti) appaiono scritte che ingiungono a eventuali clienti cinesi di non entrare, di tenersi alla larga, perché si tratta di persone in sé pericolose. Se esistesse ancora la sociologia, sarebbe bello verificare se si tratta dello stesso fiero gruppo di opposizione ai vaccini, di cui sapevano elencare sia le conseguenze pericolose sia gli intrighi dei poteri forti. Allo stesso modo sarebbe bello verificare se i nuovi difensori dei confini della patria sono gli stessi che definivano l’Italia “un Paese di merda”. Gli stessi che, dopo avere celebrato il filo spinato anti-profughi e le barche Ong da affondare subito, vogliono adesso dalla scienza del mondo (e non importa se è bielorusso o californiano) un vaccino mondiale contro la malattia cinese. Ma vogliono anche cacciare i cinesi come se ci fosse un rapporto di complicità fra virus e persona.
Ma ecco la ragione profonda per cui sto parlando del film nei giorni della sindrome cinese. Scegliere le vaccinazioni come soggetto di film, in una versione parlata (ovvero non come spettacolo ma con il proposito esplicito di fermare lo spettatore sull’evento vaccinazione), vuol dire rendersi conto (e chiedere allo spettatore di rendersi conto) che lungo questa linea, che sembra solo lo spunto di una utile conversazione tra esperti, passa un confine. Non è di contrapposizione e non introduce a uno scontro. È fare in modo che chi partecipa da spettatore al film si renda conto che si può essere dentro o fuori dalla civiltà, dove uomini e donne sono riusciti ad arrivare e a salvare spingendo avanti i limiti del non conosciuto.
È UNA BARRIERA sgradevole per chi vuole imporre volontà oppressive e annebbiate – impugnando il rosario e ostentando credenze sfasate di secoli – e disprezzo per tutto ciò (Chiesa e Papa inclusi) che non si piega al vuoto di cultura che viene avanti con la non civiltà. I vaccini – ecco il senso del film e la ragione per cui ne parlo mentre infuria la sindrome cinese – sono pietre di inciampo che impediscono l’abolizione della cultura, della consapevolezza e della conoscenza dei fatti. Bella l’idea della Sgarbi di chiamare fra gli esperti il medico di Lampedusa. È portatore della grande esperienza dei migranti e dei profughi a cui è stato somministrato il vaccino del soccorso e della umana accoglienza. Anche questo vaccino ha incontrato una forte opposizione, anche il salvataggio viene attribuito ai poteri forti. Perciò è importante riconoscere, oltre che un bel film, un atto di resistenza.