In Italia l’inverno senza merla, in Cile si allaga il deserto
In Italia – La cifra del tempo di fine gennaio è stata ancora la mitezza fuori stagione. Mercoledì 29, primo dei tre “giorni della merla” (in realtà il picco del freddo cade in media a metà gennaio), con l’aiuto del foehn i termometri segnavano 17 °C a Imola e 19 °C a Mondovì, una decina in più del dovuto. La perturbazione atlantica di martedì 28 ha deposto mezzo metro di neve fresca sul Monte Bianco, in alta Toscana è piovuto molto (120 mm sulle Alpi Apuane) e sulle vette di Alpi e Appennini il vento ruggiva a 200 km/h. All’asciutto invece le pianure lungo il Po, e nei boschi del Piemonte – dove le ultime piogge importanti risalgono al 20 dicembre – sono rispuntati gli incendi boschivi, dal Torinese al Lago Maggiore. Il tepore anomalo culminerà domani, poi per qualche giorno soffieranno venti freddi da Nord. Visto che da fine autunno le Alpi non vedono nevicate diffuse e le zone sotto i 1.500 metri sono ormai spoglie, vale la lettura del delizioso racconto dello scrittore svizzero Arno Camenisch Ultima neve (Keller edizioni), dialogo popolare tra due anziani assistenti a uno skilift di una località montana marginale che vedono sparire la neve nell’epoca del riscaldamento globale.
NEL MONDO – Violente alluvioni hanno provocato 54 vittime e danni per centinaia di milioni di dollari in Brasile sud-orientale a seguito di piogge record. A Belo Horizonte sono caduti 172 mm in 24 ore tra il 23 e il 24 gennaio e 935 mm nell’intero mese (quasi il triplo della norma), primati in 110 anni di misure. Sono bastati invece 16 mm d’acqua per allagare il deserto di Atacama (Cile), luogo più secco al mondo con precipitazioni medie annue talora inferiori a 1 mm. Nell’emisfero Nord il freddo resta confinato a latitudini molto elevate, intrappolato nel vortice polare quest’anno molto vigoroso, e sotto miti correnti oceaniche in Eurasia l’inverno continua a fare cilecca: in decine di località svedesi mai si era avuto un gennaio così mite (anomalie tra +5 e +10 °C!), in Svizzera i noccioli sono fioriti un mese in anticipo, da Ginevra a Basilea non si è ancora visto un fiocco di neve, e Berna e Zurigo hanno vissuto il gennaio più soleggiato in oltre un secolo. Ancora incendi in Australia, minacciata soprattutto Canberra dove, dopo i 44,0 °C dello scorso 4 gennaio, record storico in 80 anni, venerdì la temperatura massima è tornata a 41,9 °C, rispetto ai 29 °C normali. Il report “Lancet Countdown 2019”, uscito a novembre a cura del gruppo di lavoro della prestigiosa rivista medica e presentato lunedì scorso anche in Italia all’Istituto superiore di sanità, conferma le preoccupazioni per gli effetti della degradazione di clima e ambiente sulla salute, insidiata sempre più da colpi di calore e incendi forestali, carestie ed epidemie per eventi estremi, e aria inquinata. Ulteriori valutazioni sui rischi indotti dai cambiamenti climatici sono nel rapporto “Climate risk and response” del McKinsey Global Institute, il cui obiettivo è informare i leader sulle scelte strategiche a lungo termine. Alcuni casi-studio danno idea dell’enormità del problema: senza abbattimento delle emissioni, nel 2050 in India 310-480 milioni di persone vivranno in regioni soggette a caldo letale, in Florida il valore degli immobili esposti a inondazione calerà del 15-35 per cento, i raccolti potranno aumentare in luoghi oggi freddi come il Canada ma globalmente sarà più probabile sperimentare penurie di cibo. D’altra parte i costi delle azioni per limitare a 2 °C il riscaldamento a fine secolo sarebbero ben inferiori ai danni della nostra ostinata inerzia, lo dice lo studio “Paris Climate Agreement passes the cost-benefit test” del Potsdam Institute for Climate Impact Research, pubblicato suNature. Non sono soltanto manie da ambientalisti.