“Prima di noi” solo macerie: la maledizione di casa Sartori
Se il romanzo è malato, Giorgio Fontana si propone di guarirlo. Prima di noi, che esce per Sellerio, è un formidabile atto di fiducia nella letteratura. Il 38enne autore lombardo – premio Campiello 2014 con Morte di un uomo felice – mette a frutto la sua ambizione di narratore in un testo monumentale che non vuole abbassare lo sguardo davanti a certi classici.
FONTANA ritaglia un arco temporale lungo quasi un secolo e lo diluisce in 900 pagine di fabula pura. C’è una felicità di racconto che, al netto di qualche stonatura lirica, si traduce in una salutare prosa piana e priva di virtuosismi che sembra civettare con l’artigianato di un Cassola: chiarezza espositiva e timbro asciutto. C’è una felicità di racconto che, pur inciampando in talune riduzioni didascaliche, riesce a restituire la connessione tra privato e Storia con rigore e verosimiglianza. Il montaggio è sempre coerente e ricorda, sia pure con le debite differenze, la genealogia che scena dopo scena lievita nel film di Scola La famiglia. Sì, perché Fontana, lungo un asse cronologico che va dal 1917 al 2012, racconta proprio quattro generazioni di una stirpe, i Sartori.
Dal Friuli rurale del primo Novecento alla Milano contemporanea, il romanzo scava dentro il vissuto di undici protagonisti. Dai capostipiti Maurizio e Nadia nascono tre figli: Gabriele, Domenico, Renzo. Da Gabriele nascono Davide e Eloisa. Da Renzo, Diana e Libero. Da Eloisa nasce Letizia. Da Libero, Dario. La famiglia
Sartori è, per dirla con Tolstoj, “infelice a modo suo”. Un tema forse un po’ troppo rapinato ma Fontana vi fruga ancora una volta per venire a capo di un tormento messo in bocca a uno dei suoi personaggi: “L’amore non salva dalla distruzione”. E l’amore non salva perché nel sangue dei Sartori scorre un veleno che preclude ogni possibilità di riscatto.
C’è un peccato originale che incombe come una maledizione sulla progenie. Il capostipite Maurizio è un disertore dal fronte di Caporetto che, riparato in un casolare, intreccia una relazione clandestina con una contadina, Nadia Tassan. Quando lei resta incinta, Maurizio prima fa perdere le sue tracce e poi viene costretto ad assumersi le sue responsabilità di padre. È un uomo vile, che scappa da se stesso, dal furore della Storia e dai sentimenti.
UNA FAMIGLIA fondata su un antieroe si ramifica quindi nei decenni successivi in destini incapacitanti. Il “secolo breve” accompagna i Sartori con tutti i suoi orrori e i suoi progressi, li trascina nella sua corrente con un plagio perenne perché “qualsiasi cosa fai, il mondo ti chiava comunque”.
Nelle 900 pagine di Prima di noi, come in una successione di diapositive, c’è stipata tutta la nostra memoria nazionale. Il primo conflitto bellico del ’15-’18, il fascismo al potere, la Seconda Guerra Mondiale, la migrazione, la fabbrica e le lotte sindacali, il benessere borghese del boom anni 60, il terrorismo degli anni 70, l’attentato a Falcone, la guerra in Bosnia, la discesa in campo di Berlusconi.
Fontana – che in una nota in coda al romanzo svela quanto sia debitore dei racconti orali e dei diari del nonno Luigi – riesce nell’impresa di restituire con rara efficacia le condizioni dei vinti. Sono pagine intense quelle dedicate alla nuova vita “milanese” dei fratelli Gabriele e Renzo tra gli anni 60 e gli anni 70. C’è una periferia operaia che non differisce dai campi friulani di inizio secolo, inchiodata a “la miseria, le malattie non curate, i turni sottopagati, le domeniche a fissare il muro”. Solo i pronipoti Dario e Letizia, che incarnano l’eredità dei nostri anni, restano immuni dal contagio.
DOVE OGGI c’è lo Xanax a placare l’ansia di verità in un “tempo senza scelte”, ieri c’era l’ideologia totalizzante o la fiducia cieca nella letteratura. A pagina 864, ormai alle battute finali, una riflessione di Letizia svela e sublima il senso del romanzo: “La sofferenza si conservava proprio come l’energia. I loro nonni, e in una certa misura i loro padri, avevano dovuto sopportare il dolore fisico… e ora che questo dolore era terminato, a loro spettava un destino di ferite interiori”.
Fontana suggerisce che combattere l’eredità dei padri ignorando il passato significa ignorare la verità: “Possibile che il passato avesse una tale forza sul presente? Il potere di ciò che accadde prima di noi è tale da forgiare un destino?”. Ecco perché la sola via d’uscita dalla catena di dolore è la struggente invocazione finale alla pietas che finalmente seppellisce le storie dei Sartori dentro la Storia.
I Buddenbrook del Friuli
Dal 1917 al 2012 scorrono le vite di quattro generazioni di una stirpe Sullo sfondo, gli orrori, le ideologie e il boom del Secolo breve