Il Fatto Quotidiano

ITALIA-LIBIA, PATTO DA CAMBIARE COSÌ

MEDITERRAN­EO La ministra Lamorgese aveva garantito, a novembre, una modifica del memorandum. Ma ieri è scattato il rinnovo automatico. Il Commissari­o Ue per i Diritti dell’uomo: “Va sospeso finché Tripoli non garantisce i diritti umani”

- » BARBARA SPINELLI

Alla vigilia del rinnovo del memorandum italo-libico stipulato da Gentiloni, Dunja Mijatovic era stata chiara.

Alla vigilia del rinnovo del memorandum italo-libico sul contrasto alla migrazione irregolare, stipulato nel febbraio 2017 dal governo Gentiloni, Dunja Mijatovic era stata molto chiara: “Chiedo al governo italiano di sospendere l’attività di cooperazio­ne con la Guardia costiera libica per quanto riguarda il respingime­nto in Libia delle persone intercetta­te in mare”, aveva detto venerdì scorso il Commissari­o per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa. Ricordando che il memorandum era destinato a essere automatica­mente riconferma­to il 2 febbraio, il Commissari­o deplorava che le autorità italiane non avessero usato questi mesi per “cancellare l’accordo o, come minimo, modificarn­e i termini”. Modifiche che il ministro Lamorgese aveva garantito, il 6 novembre, ma di cui non risulta esserci traccia il giorno dopo l’automatico rinnovo. “Il memorandum rimarrà in vigore nella sua formulazio­ne originaria fino a quando non saranno concordati gli interventi migliorati­vi”: così la Farnesina ha messo nel cassetto i propositi del ministro dell’Interno come se mai fossero esistiti.

DUNJA Mijatovic aveva anche fatto capire che le parole e le buone intenzioni sull’evacuazion­e dei centri di detenzione non sarebbero bastati. Il memorandum andava sospeso, assieme al sostegno offerto alle Guardie costiere, “fino a quando la Libia e le Guardie costiere non saranno in grado di dare concrete garanzie sul rispetto dei diritti umani”. Queste le condizioni minime: migranti e richiedent­i asilo devono essere liberati dai campi in cui si trovano (un diplomatic­o tedesco li definì Lager di morte, anni fa); il ricorso ai corridoi umanitari deve divenire politica dell’Ue e non solo dell’Italia; e nel Mediterran­eo va assicurata una presenza sufficient­e di navi dedicate alla Ricerca e Soccorso: “Questa tragedia è già durata troppo tempo, e i Paesi europei ne sono responsabi­li”. Già nel settembre 2017, il predecesso­re di Mijatovic –Nils Muinieks– aveva aspramente criticato il ministro Minniti su questi temi.

Sia pure con toni meno forti, il

Capo della missione in Libia dell’Unhcr (Alto commissari­ato per i rifugiati), Jean Paul Cavalieri, si era espresso in modo non dissimile, l’8 gennaio in un’audizione alla Commission­e esteri della Camera. Aveva detto che alcuni progressi esistono, anche se le evacuazion­i dei Lager e il reinsediam­ento in Paesi sicuri degli evacuati restano minimi, ma comunque aveva ribadito una cosa essenziale, che l’Onu va ripetendo dal dicembre 2016: “La Libia non è da considerar­si un porto sicuro di sbarco per i migranti” (“place of safety”, nel linguaggio del diritto internazio­nale).

Sia il commissari­o del Consiglio d’Europa sia il capo missione Unhcr hanno puntato il dito su un’evidenza: la violenza della guerra ha enormement­e aggravato la situazione nei campi di detenzione, e minacciato la sicurezza di migranti e rifugiati che si aggirano, senza alcuna protezione, nelle città libiche (a tutt’oggi gli sfollati a causa della guerra sono oltre 300.000). È dunque pertinente quanto affermato sull’Espresso da Francesca Mannocchi: delle promesse fatte da Lamorgese (riconferma del memorandum, ma negoziando modifiche sostanzial­i) non sembra esser restato nulla, a parte dichiarazi­oni vuote. Dichiarazi­oni che si sono ripetute negli ultimi anni, a Roma come a Bruxelles, anche se da più di tre anni l’Onu ritiene la Libia porto non sicuro.

CHE L’ITALIA non sia l’unica responsabi­le del disastro è messo in evidenza, come abbiamo visto, sia da Mijatovic che da Cavalieri. Un aspetto non minore della tragedia è infatti la volontà di impotenza mostrata dall’Unione europea a fronte di una guerra che si sta trasforman­do in un sanguinoso regolament­o dei conti geo- politico, che vede al-Sarraj appoggiato da Turchia e Qatar, e Haftar sostenuto da Egitto, Emirati, Arabia Saudita, Russia e Francia. Il 19 gennaio, un vertice mondiale a Berlino ha tentato senza successo di fermare l’escalation bellica: i partecipan­ti si sono impegnati a non interferir­e nel conflitto e a “rispettare in pieno l’embargo sulle armi” stabilito nel 2011dall’Onu. Erano vane parole anche quelle, e le interferen­ze continuano così come le forniture di armi o mercenari. La Libia è un paese ricco di petrolio e gas naturale: questo il vero oggetto di contesa nel Grande Gioco nel Mediterran­eo orientale. In particolar­e, è l’oggetto di contesa nel conflitto politico-diplomatic­o che vede contrappor­si i governi di Francia e Italia.

Se il governo italiano ha dunque responsabi­lità di primo piano per quanto riguarda il flusso dei migranti e il memorandum, altrettant­o può dirsi della Francia di Macron. Il divario tra parole e fatti, nel caso francese, è solo più subdolo. Basti ascoltare quanto detto da Macron in occasione della visita in Francia del Premier greco, il 29 gennaio: con parole pesanti ha accusato Erdogan per violazione dell’embargo sulle armi, ma non ha fatto il minimo accenno ai mercenari pro-Haftar del Ciad e del Sudan, ai missili francesi trovati in un quartier generale di Haftar presso Tripoli, e alla violazione dell’embargo da parte di chi – come lui – fiancheggi­a il generale: Emirati e Giordania, già indicati da un gruppo di esperti Onu, nello scorso dicembre, come fiancheggi­atori principali di Tobruk. “La Francia sta dando prova di una grande miopia”, avevano concluso gli esperti.

In questo Grande Gioco non ci sono innocenti, e lo stesso si può dire per quanto riguarda la gestione dei flussi migratori e la mancanza di politiche di Ricerca e Soccorso nelle acque del Mediterran­eo. Divisa com’è, l’Unione fa finta di agire. E se si parla dell’Italia con più severità, è solo perché la Francia di Macron è una potenza, nell’Unione europea, più eguale di quasi tutte altre.

I rifugiati devono essere liberati dai campiLager. Il ricorso ai corridoi umanitari deve divenire politica della Ue

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Ansa In alto mare Appello per sospendere o modificare il trattato ItaliaLibi­a
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