CALDO-FREDDO: IL CLIMA PAZZO È COME IL VIRUS
Gli effetti del riscaldamento globale: oltre 20 gradi a Torino
I eri ai 500 metri di quota di Susa, a ovest di Torino, la temperatura ha superato i 20 gradi sotto un foehn a 90 chilometri orari. Oltre mille metri più in alto, davanti alle piste da sci di Sauze d’Oulx, per tutta la notte non ha gelato.
Eppure lì normalmente nei primi giorni di febbraio le temperature dovrebbero essere ben sottozero. Invece la minima era 5 gradi, con gocciolio di neve che fondeva dai tetti, e in giornata si sono toccati 12 C di massima tra nubi, sole e perfino un po’ di pioggia. Per trovare temperature negative bisognava salire vicino a 3mila metri. Condizioni che quassù ci sono di solito a inizio maggio. E non sono un caso isolato che ci può stare nella variabilità meteorologica, bensì una cifra di questo inverno da burletta. Nella vicina Francia il bimestre dicembre 2019 - gennaio 2020 è stato il secondo più caldo da oltre un secolo, dopo quello del 2015- 16. Le correnti straordinariamente miti da sud-ovest che anche oggi su gran parte d’Italia porteranno valori primaverili, cederanno però il passo da mercoledì a un netto raffreddamento, febbraio tornerà nei ranghi con gelate anche in pianura. E presto dimenticheremo questo caldo lamentandoci del freddo.
Ancora una volta non riusciremo a cogliere il senso di queste anomalie: il freddo d’inverno dovrebbe essere normale mentre non lo è l’opposto. Gli episodi miti invernali stanno tuttavia diventando la norma in questo nuovo millennio a causa del riscaldamento globale che, come correttamente predetto oltre quarant’anni fa, si sarebbe esplicitato proprio dopo l’anno 2000. Quindi il giusto approccio sarebbe non tanto quello di stupirsi candidamente ad ogni record termico sopra le attese, ma quello di preoccuparci della mancanza di contromisure per evitare che tra 50 anni neve e gelo siano solo un ricordo. Il che si porta dietro problemi nel settore agricolo, in quello del turismo e della conservazione della biodiversità. Problemi che poi esplodono d’estate quando le ondate di calore diventano e diventeranno più frequenti e intense, l’acqua scarseggerà e gli incendi boschivi divamperanno. Ogni volta che ci stupiamo per i venti gradi a febbraio dovremmo in realtà comportarci come un medico che sorveglia il coronavirus, ne trova i sintomi nella febbre in aumento e immediatamente cerca di isolare l’infetto e instaurare una terapia. Ma perché di fronte al rischio della pandemia reagiamo con misure rapide e razionali, almeno quelle da parte dei governi, chiudendo rotte aeree, istituendo quarantene e potenziando le infrastrutture sanitarie, anche a prezzo di perdite economiche, mentre di fronte al rischio climatico che è solo un po’più diluito nel tempo ma non meno inquietante e soprattutto irreversibile se non curato a tempo debito, non facciamo nulla? Forse perché ci spaventiamo e corriamo ai ripari solo di fronte a pericoli che vediamo e tocchiamo con mano ( pure qui quando spesso è troppo tardi...) e ce ne infischiamo degli avvertimenti preventivi nei confronti di quelli a medio- lungo termine? Ma perché non impariamo mai?