“La Calabria e il (non) voto Ora serve la ‘disperanza’”
ANato a S. Nicola da Crissa (Vibo Valentia) Professore di Antropologia alla Facoltà di Lettere dell’Università della Calabria Ha fondato e dirige il Centro di “Antropologie e Letterature del Mediterraneo” Ha insegnato e tenuto seminari a Toronto, Montreal, Parigi ncora una volta il voto ci offre l’immagine di una Calabria che si tuffa nel passato. La maggior parte dei calabresi non vota, e quelli che lo fanno resuscitano Berlusconi e mandano in Consiglio regionale uomini della Lega. Con l’indigesto contorno, di trasformisti e impresentabili eletti a furor di popolo. C’è materiale in abbondanza per disperarsi, per dire che è la solita Calabria che non cambia mai. “Sono d’accordo solo in parte con questi giudizi. Più che di disperazione o di speranza, io parlerei di disperanza, un sentimento che i calabresi farebbero bene a coltivare”. Vito Teti, antropologo di fama mondiale, è calabrese fino al midollo. Gira il mondo e scrive (libri, saggi, commenti per riviste e giornali nazionali), vive San Nicola da Crissa, poco più di mille anime sulle pendici del monte Cucco.
Professore sarà difficile spiegare la disperanza. Capisco, è un termine che suona come un ibrido di due opposti, lo uso come un possibile spunto per aiutarci a tentare di immaginare una prospettiva di riapertura al futuro, alla speranza, di sintesi e superamento di questa impasse culturale.
Una impasse che rischia di uccidere la Calabria e i calabresi.
Noi calabresi dobbiamo imparare ad essere lucidi, critici, a guardare la realtà nella sua crudezza. Ciò non deve
Biografia VITO TETI
indurci alla rassegnazione, ma all’impegno per progettare il cambiamento. Quando tu metti in gioco queste cose metti in moto la speranza. È una lezione che ci viene da Corrado Alvaro, il suo pessimismo non escludeva la speranza e l’utopia. I grandi pensatori calabresi si sono sempre mossi entro questi due poli, Campanella, Gioacchino da Fiore, criticavano lo status quo e il potere in modo feroce, ma nello stesso tempo coltivavano l’utopia, prospettavano la possibilità di mondi nuovi.
Intanto, però, quasi il 60% dei calabresi non vota.
C’è chi non vota per protesta, ma tanti non votano per apatia e rassegnazione. Perché tanto sono tutti uguali, tutti ladri, nessuno pensa al popolo. Qualunquismo. Alla fine la conseguenza è che vincono i vecchi gruppi di potere. Non si vota perché prevale uno sguardo disperato sulla realtà. Ultimi per qualità della vita, primi per criminalità organizzata, ultimi per la sanità, primi per corruzione, la Calabria contribuisce a rafforzare questa idea di essere terra ultima, al punto che neppure vale la pena occuparsene, come è accaduto durante le ultime elezioni. Certo, è vero che c’è uno sguardo ostile nei confronti di questo lembo d’Italia, ma ci dobbiamo chiedere se noi calabresi non contribuiamo a rafforzare lo stereotipo.
I calabresi, diceva Corrado Alvaro, “vogliono essere parlati”. Sono alla ricerca di una narrazione che aiuti a capire, che rappresenti la realtà senza pregiudizi e luoghi comuni. Come viene raccontata la Calabria?
Male. O è tutto mafia, o tutto sole, mare e cibo buono. Bisogna smetterla con l’adottare uno sguardo retorico o edulcorato. Il
LA RICETTA PER MIGLIORARE “Dobbiamo imparare a guardare la realtà nella sua crudezza, per impegnarci a progettare il cambiamento”
LA POLITICA CLIENTELARE
“Sono stati scelti i soliti gruppi di potere, i calabresi soffrono di retrotopia: il passato garantisce l’oggi, non il futuro”