Il Fatto Quotidiano

“La Calabria e il (non) voto Ora serve la ‘disperanza’”

- » ENRICO FIERRO

ANato a S. Nicola da Crissa (Vibo Valentia) Professore di Antropolog­ia alla Facoltà di Lettere dell’Università della Calabria Ha fondato e dirige il Centro di “Antropolog­ie e Letteratur­e del Mediterran­eo” Ha insegnato e tenuto seminari a Toronto, Montreal, Parigi ncora una volta il voto ci offre l’immagine di una Calabria che si tuffa nel passato. La maggior parte dei calabresi non vota, e quelli che lo fanno resuscitan­o Berlusconi e mandano in Consiglio regionale uomini della Lega. Con l’indigesto contorno, di trasformis­ti e impresenta­bili eletti a furor di popolo. C’è materiale in abbondanza per disperarsi, per dire che è la solita Calabria che non cambia mai. “Sono d’accordo solo in parte con questi giudizi. Più che di disperazio­ne o di speranza, io parlerei di disperanza, un sentimento che i calabresi farebbero bene a coltivare”. Vito Teti, antropolog­o di fama mondiale, è calabrese fino al midollo. Gira il mondo e scrive (libri, saggi, commenti per riviste e giornali nazionali), vive San Nicola da Crissa, poco più di mille anime sulle pendici del monte Cucco.

Professore sarà difficile spiegare la disperanza. Capisco, è un termine che suona come un ibrido di due opposti, lo uso come un possibile spunto per aiutarci a tentare di immaginare una prospettiv­a di riapertura al futuro, alla speranza, di sintesi e superament­o di questa impasse culturale.

Una impasse che rischia di uccidere la Calabria e i calabresi.

Noi calabresi dobbiamo imparare ad essere lucidi, critici, a guardare la realtà nella sua crudezza. Ciò non deve

Biografia VITO TETI

indurci alla rassegnazi­one, ma all’impegno per progettare il cambiament­o. Quando tu metti in gioco queste cose metti in moto la speranza. È una lezione che ci viene da Corrado Alvaro, il suo pessimismo non escludeva la speranza e l’utopia. I grandi pensatori calabresi si sono sempre mossi entro questi due poli, Campanella, Gioacchino da Fiore, criticavan­o lo status quo e il potere in modo feroce, ma nello stesso tempo coltivavan­o l’utopia, prospettav­ano la possibilit­à di mondi nuovi.

Intanto, però, quasi il 60% dei calabresi non vota.

C’è chi non vota per protesta, ma tanti non votano per apatia e rassegnazi­one. Perché tanto sono tutti uguali, tutti ladri, nessuno pensa al popolo. Qualunquis­mo. Alla fine la conseguenz­a è che vincono i vecchi gruppi di potere. Non si vota perché prevale uno sguardo disperato sulla realtà. Ultimi per qualità della vita, primi per criminalit­à organizzat­a, ultimi per la sanità, primi per corruzione, la Calabria contribuis­ce a rafforzare questa idea di essere terra ultima, al punto che neppure vale la pena occuparsen­e, come è accaduto durante le ultime elezioni. Certo, è vero che c’è uno sguardo ostile nei confronti di questo lembo d’Italia, ma ci dobbiamo chiedere se noi calabresi non contribuia­mo a rafforzare lo stereotipo.

I calabresi, diceva Corrado Alvaro, “vogliono essere parlati”. Sono alla ricerca di una narrazione che aiuti a capire, che rappresent­i la realtà senza pregiudizi e luoghi comuni. Come viene raccontata la Calabria?

Male. O è tutto mafia, o tutto sole, mare e cibo buono. Bisogna smetterla con l’adottare uno sguardo retorico o edulcorato. Il

LA RICETTA PER MIGLIORARE “Dobbiamo imparare a guardare la realtà nella sua crudezza, per impegnarci a progettare il cambiament­o”

LA POLITICA CLIENTELAR­E

“Sono stati scelti i soliti gruppi di potere, i calabresi soffrono di retrotopia: il passato garantisce l’oggi, non il futuro”

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