Cuore&amore, addio: solo sfoghi e lagne di maniaci depressi, in cura
Nessun testo di Sanremo batterà le versioni porno – parodistiche che scrivevo con le mie compagne di università nel nostro appartamento di fuorisede. Quei versi sdolcinati eccitavano la nostra vena pecoreccia, e ancora oggi mi ritrovo a cantare “Mestruazione mestruazione canaglia/che ti arriva proprio quando non vuoi”, decisamente più realistica dell’inno alla nostalgia firmato Al Bano e Romina. Ma nel 2020 cosa vuoi dissacrare, quando trovi “stronzo” nella canzone di Rita Pavone? Alla fin fine, di ballate cuore– amore sul palco dell’Ariston ne sentiremo pochine. È tutta una sfilata di sfoghi, lamentele, autodenigrazioni e sintomatologie maniaco– d epressive di fronte alla quale l’ascoltatore si sente tipo psicologo dell’Asl in un giorno particolarmente fitto di colloqui. C’è una canzone dedicata alla mamma, ben due rivolte ai figli, qualcuno si domanda se è il caso di emigrare, un altro inveisce contro Salvini ma anche contro il centrosinistra, parecchi ce l’hanno coi social. In pratica, una puntata del solito talk show accompagnato dall’orchestra. Ma il Festival non perde il suo glamourmacabro, quello del gatto spiaccicato sulla strada che non puoi fare a meno di guardare, e le folle oceaniche che lo guardano, milione più, milione meno, ricordano gli ingorghi di curiosi che si formano intorno agli incidenti e intralciano l’intervento dei soccorritori. E il bello è che lo sanno tutti, a Sanremo, conduttore, vallette e cantanti, consci di partecipare non a una kermesse canora, ma a qualcosa che somiglia sempre di più ai circenses degli antichi romani, che riempivano gli spalti del Colosseo per vedere la spettacolare degradazione dell’essere umano – con la differenza che non c’era la giuria di qualità. Ci sarà mai sul palco dell’Ariston un eroico gladiatore che scatenerà l’inferno contro l’impero decrepito della canzonetta? Contiamo su Decimo Massimo Vessicchio.