Yale, la dittatura del presente: via il corso di Arte europea
Tratto di penna sulla Storia Polemiche per la decisione dell’ateneo Usa che non vuole il Vecchio Continente su “un piedistallo”
La storia dell’arte è una disciplina globale. È il momento di fare spazio ad altre tradizioni mondiali, con corsi tematici e prospettive comparative
UNIVERSITÀ DI YALE
I corsi che rimpiazzeranno quello di storia dell’arte occidentale non recano mai la parola storia nel titolo. È la dittatura del presente
Lo spirito dei tempi, che forse non esiste ma certo fa un sacco di danni, ha colpito ancora: la gloriosa università di Yale (siamo nell’Ivy League, cioè tra gli otto più prestigiosi atenei privati americani) chiude il suo celebre corso di base in
European and American art from the Renaissance to the present. La motivazione ufficiale (traduco dal comunicato ufficiale del Dipartimento di Storia dell’arte) è che “la storia dell’arte è una disciplina globale. Il nostro corpo docente ha all’attivo pubblicazioni che hanno cambiato i paradigmi della storia dell’arte delle Americhe (soprattutto dell’arte precolombiana, e dell’intero arco dell’arte nordamericana, da quella coloniale a quella contemporanea), dell’arte africana e delle arti della diaspora africana, dell’arte asiatica e dell’arte islamica, e dell’arte europea dall’antichità ad oggi. La diversità dei docenti del dipartimento e dei nostri interessi intellettuali trova un corrispettivo nella diversità del corpo studentesco attuale”. È dunque venuto il momento, prosegue, di fare spazio ad “altre tradizioni mondiali, con corsi tematici e prospettive comparative”. Da qui la decisione di chiudere i frequentatissimi corsi in “Storia dell’arte del Medio Oriente dell’Egitto e dell’arte europea pre-rinascimentale” e in “Storia dell’arte europea e americana dal Rinascimento ad oggi”, rimpiazzandoli con corsi in “Arti decorative globali, Arti sulla Via della Seta, Arte sacra globale e Politiche della Rappresentazione”.
IN UNA MAIL al sito Yale News il direttore del Dipartimento Tim Barringer, è stato ancora più esplicito: il problema è mettere la “storia dell’arte europea su un piedistallo”, dedicandole un corso introduttivo generale che non tenga in considerazione “questioni di genere, classe e ‘razza’”. A questo punto i media americani hanno riassunto la faccenda in termini brutali: Yale ritiene la storia dell’arte troppo “bianca, europea, maschile”(così il Wall Street Jour
nal), sintetizzando il concetto in una vignetta in cui, davanti agli studenti, due facchini sgomberano la cattedra dal David di Michelangelo, dalla Gioconda e da quadri di Van Gogh e Picasso.
È subito insorta la più becera stampa dell’estrema destra statunitense, da quella cristiana fondamentalista a quella sovranista-razzista, accusando Yale di “suicidare” la civiltà occidentale: un coro deprecabile, senza uno straccio di argomento culturale che non sia l’equivoca bandiera dell’ “identità”, che rende difficile accostarsi a questo dibattito serenamente. Ma invece è necessario farlo: subito dopo però, aver difeso a spada tratta il fondamentale diritto e dovere di ogni università di decidere in scienza e coscienza, e in assoluta libertà, le sue linee di ricerca e di didattica. E lo dico pensando non agli Stati Uniti, dove le grandi università hanno spalle abbastanza larghe da non temere le ingerenze politiche, ma all’Italia, dove gli ultimi governi – da quello di Renzi con le cattedre Natta, a questo Conte bis con la pessima idea di una Agenzia della Ricerca controllata dall’esecutivo – provano a mettere le mani sulla libertà universitaria.
CIÒ DETTO, le mie perplessità sulla scelta di Yale non riguardano il desiderio di andare verso una storia dell’arte (e una storia) globale, che rinunci a una gerarchia, esplicita o implicita, tra tradizione diverse: nessuno può dire che l’arte europea sia, in sé, più importante di quella africana o di quella dell’Oceania. Ma sarebbe assurdo negare, o provare a rimuovere il fatto che la storia dell’arte ha, a sua volta, una storia. Se è necessario, e, anzi, urgente, costruire un mondo e una cultura diversi – non eurocentrici, biancocentrici, maschiocentrici – dubito che questo possa avvenire senza conoscere la storia del mondo. Perdonate l’analogia triviale: è come cercare di diventare grandi rimuovendo dall’a lbum di famiglia le fotografie di quando camminavamo gattoni e facevamo la cacca nel pannolino. Il rischio, altissimo, è di gettar via l’idea stessa di storia: che nasce in Grecia e appena più tardi in Cina, e che interi continenti hanno ignorato finché non sono venuti in contatto con la cultura occidentale. Perché, mentre nessuna civiltà ignora l’idea di arte, la storia dell’arte esiste solo in Europa ( dove nasce nella Grecia classica, e poi rinasce a Firenze nel Rinascimento), e ancora una volta in Cina: se dunque vogliamo costruire davvero una storia dell’arte globale non si vede perché dovrebbe essere “problematico” introdurre gli studenti di Yale (non quelli di Pechino, evidentemente) alla storia dell’arte attraverso un corso incentrati sull’arte occidentale, cui far poi seguire l’apertura a tutte le altre tradizioni. Ma il dubbio è proprio questo: vogliamo ancora una storia? I corsi che a Yale rimpiazzeranno quello di storia dell’arte occidentale non recano, infatti, mai la parola storia nel titolo, e hanno invece un taglio tematico e descrittivo.
A spirare, più che il vento del politically correct, sembra quello della dittatura del presente, che rifugge in ogni campo dalla dimensione storica e dal metodo critico della storiografia, cedendo invece a ogni possibile revisionismo, e a un comparativismo astratto e
Il passato insegna Non si possono ignorare le origini: tutto nasce nella Grecia classica, poi Firenze nel Rinascimento
senza tempo.
Marc Bloch diceva che la storia è la scienza degli uomini nel tempo: e di questa scienza abbiamo bisogno più di prima. Se la “rottamiamo”, invece di educare studenti più giusti e aperti, finiremo solo per renderli più ignoranti, e dunque meno capaci di interpretare il passato per costruire un futuro diverso.