Guerra delle “noisette”: così il sistema al ribasso ammazza i più piccoli
Intese per garantire le realtà locali non bastano a contrastare il vizio originario
Il Nutella day è stato un giorno amaro per i produttori di nocciole italiane. Mentre Ferrero celebrava il successo della crema inventata nel 1964, oltre 32mila aziende nazionali di nocciole facevano i conti con una situazione paradossale. Quest’anno la resa è scivolata a causa della cimice asiatica, ma i prezzi non sono aumentati per via dell’offerta turca a buon mercato. Così, spesso e volentieri, il ricavato dalla vendita del raccolto italiano non è riuscito a coprire i costi di produzione.
SECONDO la Coldiretti, Ferrero ha importato più nocciole dalla Turchia, che soddisfa circa l’80% della domanda a meno di 2,7 euro al chilo. Lo stesso prezzo cui si sono dovuti allineare anche i produttori italiani. Così, in un mondo in cui la domanda di nocciole cresce, le quotazioni internazionali sono rimaste basse, ancorate al prezzo di un Paese dove i piccoli coltivatori sono sotto la soglia di povertà. Secondo una recente inchiesta del giornale francese Mediapart, in Turchia una famiglia di 8 lavoratori stagionali guadagna in media 730 dollari (650 euro). Con i produttori che, per la Fair Labor Association, “non sono in grado di pagare un salario decente a causa del prezzo della nocciola e del reddito che ne traggono”.
Per le imprese italiane è impossibile competere in queste condizioni. Tanto più che la nocciola nostrana non è sempre riconosciuta sulle etichette. Di conseguenza il suo prezzo è uguale a quello di qualsiasi nocciola nel mondo. “Se il prodotto non è identificato nell’etichetta con la sua origine ed è usato in una crema, diventa un ingrediente di secondaria importanza che può essere realizzato ovunque” spiega Lorenzo Bazzana, responsabile nazionale economia Coldiretti. Così, il compratore, soprattutto quello di grandi dimensioni come il gruppo di Alba, può acquistare le nocciole sul mercato più conveniente. Per i produttori italiani è impossibile contrastare questa dinamica: nel nostro Paese l’offerta è frammentata, con pochi piccoli consorzi e aziende di dimensioni mediamente inferiori ai due ettari.
Nel 2019 a complicare la situazione è arrivata poi anche la cimice asiatica. “In Irpinia abbiamo registrato una flessione della produzione dell’80 per cento. Sarebbe stato logico attendersi anche un aumento del prezzo, ma non è accaduto. Anzi c’è stato anche un leggero calo per via del fatto che la Ferrero ha comprato nocciole all’estero – spiega Francesco Acampora, il presidente della Coldiretti Avellino, seconda area di produzione del Paese dopo la provincia di Viterbo. - Non solo. Il gruppo ha anche avviato una politica di grandi investimenti all’estero facendo impianti in Australia con una varietà avellinese. Quasi a voler dire che non interessa la produzione irpina perché si può fare la stessa cosa altrove”.
DAL CANTO suo, Ferrero ricorda di aver lanciato Progetto Nocciola Italia con l’intento di incentivare la produzione nazionale. Al momento del contratto con il fornitore, Ferrero s’impegna ad acquistare il 75% del raccolto. Il diavolo sta però nei dettagli: il prezzo di acquisto tiene conto di costi di produzione standard più una remunerazione calcolata sulla qualità delle nocciole, ma resta ponderato al prezzo del prodotto turco. “Come Coldiretti nazionale stiamo lavorando con Ferrero al Progetto Italia – riprende Acampora -. Proprio per questo, ci saremmo aspettati un comportamento diverso per venire incontro ai produttori in una situazione delicata come quella di quest’anno. E invece le cose sono andate diversamente. L’importazione ha creato problemi alle aziende ed è venuta meno la fiducia degli agricoltori nei confronti di Ferrero”. Una soluzione per aiutare le imprese italiane c’è. “Da anni chiediamo una etichettatura europea di origine anche nei trasformati, nelle creme e nei biscotti – conclude Bazzana -. Al momento è la giungla più totale: alcuni dichiarano da dove vengono le nocciole, altri no pur vantando l’uso di prodotto italiano. C’è una nebulosa totale”. Che conviene a chi compra grandi quantità. Ma non ai piccoli produttori.
Il parassita
In Irpinia la produzione è crollata dell’80 per cento a causa della la cimice asiatica