Il Fatto Quotidiano

Il virus danneggia il made in Italy: giù turismo e moda

Catene distributi­ve a rischio e gli albergator­i stimano danni per 1,6 miliardi. Enormi quelli dei beni di lusso

- » NICOLA BORZI

Se la Cina ha la febbre anche l’Italia non sta bene. L’epidemia di coronaviru­s 2019-nCoV partita da Wuhan nello Hubei non è solo un problema sanitario ma anche economico. Secondo il centro di ricerca britannico Oxford Economics citato dalla Bbc è presto per quantifica­re gli effetti, perché molto dipenderà dalla capacità di contenere il virus. In ogni caso però nel primo trimestre di quest’anno l’economia cinese crescerà meno del 4% rispetto allo stesso periodo del 2019, con una stima sull’intero anno del 5,6% che, prima dell’epidemia, era del 6%. Il tutto dovrebbe impattare sull’economia mondiale tagliando lo 0,2% alle attese di crescita: ma solo nell’ipotesi che si eviti lo “scenario peggiore”.

I CONTRACCOL­PI si sentiranno anche nella Penisola. Il 23 marzo 2019 l’Italia è diventata il primo Paese del G7 a unirsi al progetto cineseBelt and Road Initiative. In quell’occasione aziende cinesi e italiane hanno firmato 10 accordi per un valore dai 5 ai 20 miliardi di euro nell’energia, acciaio e gas naturale con nuovi investimen­ti in Cina di Eni, Leonardo, Fincantier­i e i loro fornitori e subfornito­ri. Il 7 novembre l’Autorità portuale dell’Adriatico orientale e China Communicat­ions Constructi­on Company ( Cccc) hanno poi stretto un accordo per creare piattaform­e logistiche collegate al porto di Trieste.

Ma i legami tra i due Paesi sono già forti. Secondo l’ultimo report di Fondazione Italia-Cina e Cesif, in Cina e a Hong Kong ci sono quasi 2mila imprese italiane con 190mila addetti e un fatturato di 36 miliardi. Dai primi anni Duemila sono cresciute di sette volte, specie sul fronte produttivo, perché prima due terzi delle aziende italiane in Cina aveva solo uffici commercial­i.

In Cina Fca da fine 2015 produce i modelli Jeep Cherokee e Renegade. Ma uno degli impianti europei potrebbe dover interrompe­re la 2-4 settimane a causa di problemi di approvvigi­onamento da quattro fornitori cinesi dovuti al blocco causato dall’epidemia. Nei giorni scorsi stessa sorte era capitata a Hyundai mentre Volvo ha dovuto cambiare fornitore di batterie per i veicoli ibridi per non fermare la produzione. In Cina c’è Brembo, che dal 2016 controlla il produttore di freni Asimco Meilian Braking Systems e ad aprile 2019 ha inaugurato un nuovo stabilimen­to a Nanjing. C’è Ferrero con lo stabilimen­to a Hangzhou, inaugurato a fine 2015, che ha conquistat­o un quarto del mercato cinese dei prodotti in cioccolato. Da fine 2017 c’è Prysmian Group con lo stabilimen­to di Jiangsu. Dal canto loro i cinesi controllan­o Pirelli (100%) il 35% di Cdp Reti, il 2% di Intesa SanPaolo, UniCredit e Generali, il 40% di Ansaldo Energia e l’intera Candy.

D’altronde nel 2018 l’interscamb­io Italia-Cina ha toccato quota 43,9 miliardi: l’Italia è quarto fornitore tra i Paesi europei con export per 13,2 miliardi, tra cui formaggi, vino, gelati, caffé con i marchi Illy e Lavazza. Quanto all’import, l’Italia ha acquistati prodotti cinesi per 30,7 miliardi. Nei primi 9 mesi del 2019 invece l’export italiano in Cina è calato a 9,4 miliardi.

MA A SOFFRIRE di più i colpi del virus, nell’immediato, sono moda e turismo. Secondo la Camera nazionale della moda italiana, il settore perderà l’1,8% dei ricavi nella prima metà del 2020 per l’epidemia: un terzo dei consumator­i globali di prodotti del lusso italiano è cinese e molti marchi hanno chiuso i negozi in Cina. L’Italia è seconda solo alla Francia per vendite di moda e beni di lusso in Cina, 90 miliardi nel 2019. “A dicembre le prospettiv­e per il 2020 erano di ritorno al nostro tasso di crescita storico annuo dei ricavi di circa il 3%”, ha detto il presidente della Cnmi Carlo Capasa, “ma saremo fortunati se quest’anno cresceremo dell’1%”. Intanto le case cinesi Angela Chen, Ricostru e

Hui hanno cancellato le sfilate alla settimana della moda femminile di Milano di febbraio e un migliaio tra giornalist­i e acquirenti cinesi non si presentera­nno.

Secondo elaborazio­ni di Cst per Assoturism­o Confeserce­nti, se e solo se i contagi si stabilizze­ranno entro marzo la stima più ottimistic­a fa prevedere - 30% per le presenze di turisti cinesi e oltre - 6% per i turisti stranieri in Italia con un incremento del 2,5% delle presenze italiane. I flussi del 2020 potrebbero segnare un calo di 1,6 milioni di cinesi e di circa 11,6 milioni di altri turisti stranieri, con una flessione complessiv­a a fine anno del 3,3%. Le regioni più colpite saranno Lazio, Toscana, Veneto e Lombardia che insieme raccolgono oltre l’80% dei pernottame­nti dei cinesi. Gli incassi turistici potrebbero calare di 1,6 miliardi ma i contraccol­pi si sentirebbe­ro anche sul Made in Italy: ogni turista cinese nel 2018 aveva fatto acquisti per 1.167 euro in Italia.

Ma il virus causa anche altri danni. Secondo Deutsche Welle, 3.012 delle 39.242 attività commercial­i di Milano sono di residenti nati in Cina senza calcolare quelle dei cinesi di seconda generazion­e. Dunque oltre il 13% dei negozi al dettaglio è della comunità cinese e il quartiere di Chinatown era quello che faceva segnare gli aumenti maggiori di valori immobiliar­i. La psicosi del contagio colpisce l’Italia anche in altri modi.

Primi effetti

Se va bene -30% di arrivi da Pechino I big asiatici disertano le sfilate milanesi

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Ansa Export Davanti al negozio Emporio Armani di Guangzhou (Canton), 12 milioni di abitanti

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