CON UN COMMENTO DI FILORETO D’AGOSTINO
Il lodo Conte bis sulla prescrizione è stato respinto da Italia Viva, sul probabile rilievo, già avanzato da quella parte politica, dell’i nco sti tuz ionalità di una normativa che assoggetta a disciplina diversa due situazioni uguali. Allieta la sensibilità del senatore Renzi per profili di legittimità dei quali non sempre, da presidente del Consiglio, aveva perfettamente percepito la rilevanza, come dimostrato da non poche sentenze della Corte costituzionale.
QUESTA VOLTA l’ansia di recuperare e una certa fretta hanno tratto in inganno il senatore di Scandicci e i suoi giureconsulti. Perché l’unico aspetto sul quale si può, con fondamento, sospettare d’incostituzionalità la legge Bonafede riguarda proprio l’uniformità di disciplina per condannati e assolti. La chiave ermeneutica risiede nell’art. 27 Cost., c. 2 secondo cui l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, formalizzando così il parametro della presunzione d’innocenza. Perché tale presunzione operi occorre che un soggetto acquisti la qualità di imputato. Vi sono, in realtà, due specie d’imputato: una sostanziale e l’altra funzionale. La prima si acquista con il rinvio a giudizio, cioè in base a una circostanziata e motivata attribuzione di fatti di reato formulata dal gip perché un tribunale la accerti in concreto. La qualifica funzionale d’imputato, ex art. 60 c.p.p. in coerenza anche con art. 111, c. 2 Cost., si connette con una mera ipotesi di accusa da far vagliare al gip per l’eventuale formulazione di richiesta di rinvio a giudizio. Conferendo all’indagato tale qualità in senso funzionale, infatti, gli si assicurano in via preventiva eguali strumenti di difesa e garanzia di quelli riconosciuti all’imputato in senso sostanziale.
Le due specie d’imputato si intersecano nel processo penale, ma vanno tenute concettualmente distinte perché operano in situazioni diverse anche in relazione alla presunzione di innocenza collocata, si noti bene, nel titolo dei rapporti civili e non nelle norme sulla giurisdizione. Quella presunzione intende impedire che, fino al definitivo accertamento dei fatti contestati in sede di rinvio, si riversino sull’imputato effetti negativi non coerenti con la tutela della dignità umana. Si tratta evidentemente d’imputazione in senso sostanziale, l’unica idonea a cristallizzarsi nella sentenza definitiva di condanna.
È quindi logico che un rinvio a giudizio confermato in tutto o in parte dal tribunale mantenga integra la capacità di condurre a una pronuncia definitiva (bloccando la prescrizione) e che tale continuità trovi nella presunzione di non colpevolezza adeguato presidio di contrasto. In questo senso l’equilibrio delle posizioni è coerente e ragionevole. Non altrettanto si può affermare nel caso di assoluzione. Da essa consegue che il soggetto riassume la qualità di imputato solo se interviene un’impugnazione ed esclusivamente per finalità di tutela. Manca, in quel caso, la conferma del quadro contestativo del decreto che dispone il giudizio. Quella richiesta è stata respinta e per l’assolto non va proclamata la presunzione d’innocenza, ma l’innocenza tout court. La concezione che mantiene in un soggetto assolto con sentenza la qualità d’imputato in senso sostanziale e non soltanto funzionale non appartiene alla tradizione democratica, ma semmai a regimi organici (dove pesanti condanne non sono sempre esito di processi articolati in gradi di giudizio).
LA SENTENZA di primo grado, in definitiva, non può essere annoverata tra gli accidenti aristotelici, ma produce, nel vivo del rapporto processuale, effetti divergenti relativamente al soggetto condannato e a quello assolto. Per quest’ultimo il blocco della prescrizione si protrarrebbe sine die in carenza dell’elemento legittimante il blocco stesso, cioè un giudizio di colpevolezza, seppure in via di possibile consolidamento, recato in una sentenza di condanna. Il c.d. lodo Conte bis, pertanto, si muove all’interno del perimetro costituzionale non solo per quanto riguarda la distinta disciplina di assolti e condannati, ma anche quando fa scaturire, in caso di divergenti pronunce in appello, conseguenze coerenti con il sistema: blocco della prescrizione per il condannato già assolto in primo grado e restituzione in forma di bonus del periodo prescrizionale bloccato a chi, già condannato, venga successivamente assolto.
Si riconducono cioè a un’equilibrata regolamentazione unitaria due fattispecie, alterate dalle diverse conclusioni raggiunte nei due gradi del giudizio e, per quel tramite, si riafferma l’intrinseca ragionevolezza dell’ordinamento che non omologa in modo retorico e astratto le posizioni di ognuno, ma le conforma in concreto a un eguale canone di tutela integrale, nel pieno rispetto della dignità del singolo.