Il Fatto Quotidiano

Dietro il discorso una montagna di messaggi cifrati

“Cose loro” Graviano offre una chiave di lettura alle sue parole intercetta­te in cella nel 2016-2017 sui rapporti con il Caimano

- » MARCO LILLO

Silvio Berlusconi, nato a Milano, 83 anni, è stato il politico italiano più potente per almeno 18 anni dal 1994 al 2011. Tuttora resta probabilme­nte l’italiano più ricco e famoso nel mondo.

Giuseppe Graviano, 56 anni, nato a Palermo invece è il boss condannato per le stragi del 1992 in Sicilia e del 1993 a Firenze e Milano nonché per gli attentati del 1993-94 a Roma e dintorni. Il protagonis­ta della stagione del terrorismo mafioso che ha eliminato i magistrati più importanti della recente storia dell’Antimafia, Giovanni Falcone con la moglie Francesca Morvillo e Paolo Borsellino, gli uomini delle loro scorte, e tante persone innocenti. Quelle stragi, secondo le testimonia­nze dei pentiti recepite nelle sentenze della magistratu­ra, sono state compiute per cambiare le leggi e la politica italiana a cavallo tra Prima Repubblica e Seconda Repubblica.

IERI IL BOSS ha detto chiarament­e per la prima volta in un’aula di Tribunale quello che aveva sussurrato nell’orecchio di un compagno di detenzione, Umberto Adinolfi, nel 2016-2017 nel carcere di Ascoli Piceno. E che, chiamato in aula da una Corte a Palermo, si era rifiutato di spiegare. Il racconto di Graviano (tutto da riscontrar­e) è impression­ante: Graviano dice di avere conosciuto Berlusconi, di averlo incontrato tre volte, di avere cenato con lui nel 1993 poco prima del suo arresto e di considerar­lo un traditore. Il racconto diretto di ieri di Graviano rende più comprensib­ili alcuni messaggi presenti nelle conversazi­oni intercetta­te contro la sua volontà nel 2016. Quelle parole vanno decrittate alla luce di quel che ieri ha detto. E questo sarà il compito dei magistrati, non solo quelli di Reggio Calabria che lo hanno interrogat­o ieri nel processo ’Ndrangheta stragista’. Anche i pm di Firenze che indagano da due anni su Berlusconi e sul suo ex collaborat­ore Marcello Dell’Utri per l’ipotesi che abbiano avuto un ruolo nelle stragi del 1993 a Firenze e Milano (dieci morti) e negli attentati di Roma dovranno cercare di capire quel che ha voluto dire il boss. Probabilme­nte anche i pm di Caltanisse­tta che indagano sulle stragi del 1992 ( che non hanno iscritto Berlusconi dopo le conversazi­oni intercetta­te in cella nel 2016-7) dovranno ristudiare le sue parole in cella alla luce di ciò che ha detto in aula.

In particolar­e c’è una frase detta da Graviano nel carcere di Ascoli il 10 aprile 2016 che merita di essere riletta dopo l’interrogat­orio di ieri. Il perito della Corte di Assise di Reggio Calabria, come quello della Corte di Palermo nel processo Trattativa, a differenza della difesa di Marcello Dell’Utri, ritiene che Graviano abbia confidato al compagno di detenzione: “Berlusca mi chiese una cortesia”. Il boss dice questa frase dopo aver detto altre due frasi criptiche che sembrano riferite sempre a Berlusconi: “1992 già voleva scendere, voleva partecipar­e (...) ed era disturbato” e poi “volevano indagare”. Quando il pm Giuseppe Lombardo ha cercato di farsi dire da Graviano cosa volesse dire con quel “era disturbato”, il boss ha evitato di rispondere.

La novità di ieri è che Graviano ha detto chiarament­e in aula alla Corte che in cella parlava di Berlusconi e che - a detta del boss – il Cavaliere incontrò il cugino del boss nei primi mesi del 1992, prima delle stragi di Capaci e via D’Amelio, per comunicare alla loro famiglia che voleva scendere in politica e chiedeva una mano. Alla luce di questa “chiave di lettura” bisognerà ridomandar­si cosa sia “la cortesia” che a suo dire sarebbe stata chiesta da ‘Berlusca’ a Graviano (sempre nel suo discorso in cella) e poi perché questa cortesia c’entri con “l’ur genza” di fare qualcosa e con il fatto che “volevano indagare”.

Un’ipotesi formulata in via del tutto teorica dal pm Antonino Di Matteo, quando sosteneva l’accusa del processo Trattativa, è che “qua ndo Graviano parla di cortesia si riferisca alla strage di via D’Amelio”. Comunque Graviano, ove anche avesse espresso quel concetto, potrebbe mentire.

IL RACCONTO fatto ieri dal boss parte dal 1970 quando il nonno materno Filippo Quartararo, grande commercian­te di frutta, si sente chiedere 20 miliardi di vecchie lire per avere il 20 per cento di un investimen­to a Milano. Il nonno non li aveva ma insieme ad altri amici siciliani arriva a coprire una quota di 4,5 miliardi, dei quali 1,5 miliardi li mette Antonio La Corte, un ristorator­e. Poi altri 10 miliardi li mette l’er edi tie re Carlo Alfano e altri soldi li avrebbe messi la famiglia Chiazzese che però lascia la mano dopo l’uccisione di un rampollo della famiglia nel 1981. Altri soldi li metterebbe

C’è una parte diretta e anche troppo comprensib­ile, poi ci sono messaggi Decrittarl­i è compito dei pm di Reggio, Firenze e Caltanisse­tta

Gli incontri

”Prima con il nonno in un albergo, l’ultimo a cena a Milano 3 in un appartamen­to”

Punti oscuri

L’ergastolan­o nega responsabi­lità nelle stragi e smentisce i pentiti che lo accusano

Può sembrare un romanzo per chi non abbia seguito le indagini sulle stragi e sulla Trattativa, ma il boss non collabora, può mentire

anche la signora Serafina, vedova di Salvatore Di Peri. I soldi secondo Graviano sarebbero puliti.

Nel 1981 muore il padre Michele Graviano, un imprendito­re che secondo il pentito Franco Di Carlo era stato inserito in Cosa Nostra in età avanzata. Graviano padre è stato ucciso dai perdenti e in particolar­e dal mafioso Gaetano Grado, della famiglia di Stefano Bontate. Il nonno materno, ormai ultra-ottantenne, dopo la morte del padre, mette Giuseppe e il cugino Salvatore Graviano al corrente degli investimen­ti effettuati una dozzina di anni prima a Milano e chiede a Giuseppe di seguirlo a Milano per prendere in mano il rapporto.

Il nonno riteneva che non ci fosse nulla di male e che i soci siciliani occulti dovessero diventare pubblici. Così Giuseppe, dopo essersi consigliat­o con Giuseppe Greco, padre del “Papa della mafia” Michele Greco, sale sotto la

Madunina. Giuseppe è ancora in lutto ma toglie l’abito nero per non dare nell’o cchio e incontra Berlusconi insieme al cugino Salvatore e al nonno Filippo. L’incontro avviene – aggiunge con qualche incertezza Graviano (“se non erro”)– nell’hotel Quark di Milano. Non un posto qualunque. In questo hotel Graviano racconta di avere festeggiat­o il Capodanno 1990. Sempre qui Graviano dà appuntamen­to a un suo favoreggia­tore che voleva far giocare il figlio al Milan e gli aveva chiesto una mano per trovare lui un lavoro. Insieme al fratello Filippo e al favoreggia­tore il 27 gennaio 1994 sarà arrestato nel ristorante Gigi il Cacciatore.

L’arresto a Milano secondo Graviano è anomalo. La tesi (anche questa tutta da riscontrar­e) di Graviano è che si siano uniti tre soggetti contro di lui: “L’imprendito­re del nord (Berlusconi, ndr), una parte della Procura di Palermo e Totuccio Contorno”. In questo quadro molto confuso, Giuseppe Graviano ha inserito le sue confidenze sui rapporti tra il nonno e Berlusconi. Nella precedente udienza Graviano ha suggerito al pubblico ministero di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo di indagare sui misteri del suo arresto a Milano per capire i segreti delle stragi del 1992 e 1993 e l’omicidio del poliziotto Antonino D’Agostino dell’agosto 1989. Quanto ai rapporti con Berlusconi, Giuseppe Graviano sostiene di avere letto una carta privata (“la copia ce l’ha mio cugino Salvatore Graviano con la firma dell’imprendito­re del nord”) con i nomi del nonno e degli altri soci occulti di Berlusconi che volevano emergere, tra questi Carlo Alfano e Antonio La Corte più altri.

Secondo Graviano, non solo i cantieri edili degli anni settanta ma anche le television­i di Fininvest create più avanti facevano parte dell’accordo con i siciliani. Nel 1993 il cugino Salvatore chiede al boss latitante di andare a Milano. Proprio quando Berlusconi sta per scendere in politica ufficialme­nte, a dicembre 1993, secondo lo stesso Graviano avviene l’incontro al quale partecipa anche il cugino Salvatore. I tre cenano insieme in un appartamen­to di Milano 3, il villaggio residenzia­le costruito da Silvio Berlusconi. A detta di Graviano un appartamen­to sarebbe stato concesso in uso a Salvatore Graviano e poi offerto anche in uso da Salvatore a Giuseppe. L’incontro ha per oggetto la questione societaria ma poi non se ne fa nulla perché all’appu ntame nto successivo con Berlusconi, fissato a febbraio del 1994, non si possono presentare i due cugini: Giuseppe è arrestato il 27 gennaio e Salvatore il 2 febbraio 1994, poi sarà assolto e morirà nel 2002 per un tumore.

OLTRE AI RAPPORTI economici con Silvio Berlusconi, Graviano ha ripercorso anche l’origine della “stagione politica”. Nei primi mesi del 1992 Silvio Berlusconi incontra il cugino Salvatore Graviano e gli racconta che vuole scendere in politica e chiede un appoggio. Il racconto di Giuseppe Graviano può sembrare un romanzo per chi non abbia mai seguito le vicende delle indagini sulle stragi di Firenze e Caltanisse­tta e quelle della Procura di Palermo sulla Trattativa Stato-mafia.

Però non arriva come un fulmine a ciel sereno. Si può dire invece che tanto tuonò (senza che la politica e i media reagissero in modo opportuno) che alla fine Giuseppe Graviano è stato costretto a far piovere un diluvio di dichiarazi­oni per ottenere un po’ di attenzione.

Le dichiarazi­oni di Giuseppe Graviano non vanno prese come se fossero quelle di un testimone attendibil­e e nemmeno come se fossero quelle di un collaborat­ore di giustizia. Un pentito che mente rischia di perdere la protezione dello Stato e i vantaggi della sua condizione. Un imputato che non collabora, come Graviano, invece può mentire impunement­e.

Il boss ha presentato (in diretta web di Radio Radicale) un racconto suggestivo ma che presenta evidenti zone oscure e passaggi poco coerenti. Per esempio Giuseppe Graviano nega qualsiasi responsabi­lità nelle stragi. Smentisce totalmente i pentiti che lo accusano, in particolar­e Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina. Si professa innocente su tutta la linea. Colora il suo rapporto con Berlusconi con una serie di personaggi che paradossal­mente tenderebbe­ro a renderlo lecito. I soldi investiti a Milano non sono del padre o di altri soggetti tacciati dai pentiti di essere mafiosi ma del nonno e di altri insospetta­bili. I rapporti politici con Berlusconi sono stati tenuti principalm­ente dal cugino Salvatore, anche lui considerat­o un personaggi­o minore finora e comunque deceduto nel 2002. Inoltre ci sono alcune cose che non tornano con quello che è stato detto in carcere a bassa voce al compagno di detenzione Umberto Adinolfi.

In quelle conversazi­oni in cella registrate nel 2016-2017 il boss per esempio non nomina mai il cugino Salvatore Graviano in relazione a Berlusconi e parla in prima persona dei suoi rapporti con l’imprendito­re milanese. Comunque il suo racconto, anche se depistante e dal sapore ricattator­io, non può più essere ignorato.

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Fotogramma Il partito Silvio Berluscion­i e Marcello Dell’Utri a una conferenza di Forza Italia nel 2003
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Il 19 luglio in via D’Amelio la strage in cui furono uccisi Paolo Borsellini e cinque agenti di scorta
Ansa Nel 1992 Il 19 luglio in via D’Amelio la strage in cui furono uccisi Paolo Borsellini e cinque agenti di scorta
 ?? Ansa/LaPresse ?? Protagonis­ti Giuseppe Graviano in una vecchia foto e, sotto, Marcello Dell’Utri
Ansa/LaPresse Protagonis­ti Giuseppe Graviano in una vecchia foto e, sotto, Marcello Dell’Utri
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