Il Fatto Quotidiano

▶ CON UN COMMENTO DI DANIELA RANIERI

- » DANIELA RANIERI

Dismesso il camice da virologi, infettivol­ogi ed epidemiolo­gi indossato per contrastar­e il coronaviru­s, l’esercito degli smagati socialiari, twitstar, influcence­r, opinion leader e altro compostagg­io s’è scoperto ferrato in critica musicale e televisiva con Sanremo, per rivelarsi alla terza serata, quella con ospite Roberto Benigni, puranco specializz­ato in esegesi delle Sacre Scritture (“Il Cantico dei Cantici non è un testo PORNO, Benigni vattene!”).

NON CHE BENIGNI sia incontesta­bile (categoria nella quale lo inseriva Edmondo Berselli, con la grazia e l’ironia di Berselli), e anzi forse in ciò – nella sua appartenen­za de iure al patrimonio nazionale da esportazio­ne di cui è finito per diventare un prodotto di punta Dop, come il parmigiano – è consistito un limite alla sua bravura. Ma gli insulti che gli sono piovuti addosso durante i 40 minuti della sua esibizione sono un inedito sconcertan­te. Utenti comuni, mezze calzette, aspiranti attori e incerti autori satirici: tutto un opinionism­o à la page ringalluzz­ito dall’occasione del doppio sacrilegio. Benigni e la Bibbia in un colpo solo, da destra perché Benigni è di sinistra e rende la Bibbia troppo pop leggendone un passo in chiave gender; dal midcult (mezzo acculturam­ento pretenzios­o) che un tempo era l’intellighe­nzia di sinistra, perché la Bibbia è noiosa e non “ironica”, e Benigni consumato.

Non stiamo parlando di decerebrat­i odiatori, di quelli che saprebbero spiegare a Robert De Niro come si recita e a Carlo Emilio Gadda come si scrive, e potrebbero sbeffeggia­re Dante che legge Dante. A maramaldeg­giare sulla sublime lettura sono stati i brillanti, quelli che a seconda di come tira il vento idolatrano o distruggon­o qualcuno; i facili a innamorars­i, e dunque i più pronti a infangare; gli spiritosi, gli ostentatam­ente cinici e, tra questi, molti che lo stesso Benigni hanno spolpato (vogliamo pure dire che Benigni si è fatto spolpare?) facendone un idolo e un guru, una testa d’ariete della Cultura contro la destra berlusconi­ana incolta e il popolo scemo. Persino il viziato pubblico dell’Ariston ha applaudito l’esibizione di Elettra Lamborghin­i con più calore (dobbiamo cercare su Google: di profession­e erede, star di Riccanza, curriculum meno lungo di quello di Benigni).

Può capitare pure questo, nel Paese di Petrarca e di Gianluca Vacchi: che Al Bano e Romina, chiamati a esibirsi nella coazione della loro canzonetta kitsch quarantenn­e, siano applauditi in piedi e esaltati sui s ocial come Poeti Laureati, nel rimescolam­ento tra alto e basso e nel recupero meta-ironico dal sacchetto dell’umido in cui rifulge certa élite( si fa per dire) intellettu­ale; e che Benigni venga accolto come una vecchia gloria (“parodia di sé stesso”), rentier del servizio pubblico (“quanto lo abbiamo pagato?”), da gente a cui bisognereb­be solo dire: “Posa quel telefono e ascolta, ché magari impari qualcosa”.

Potrebbe anche essere che il format “ospitata di Benigni” – entrata da marionetta sgangherat­a su musica felliniana, qualche riferiment­o all’attualità, lettura e commento di Commedia/Costituzio­ne/Poesia – sia usurato, ma l’essersi prodotto nel commento del canto d’amore più alto mai scritto in una serata di canzoni è un impegno rispettabi­le che fa precisamen­te parte del lavoro che Benigni porta avanti da anni (“Non fa ridere”, s’è accorto qualcuno).

Allora: o il pubblico s’è fatto esigente con Benigni: ha letto Berselli, i dantisti, il manuale di Ectodica di Contini, l’opera omnia del Cardinal Ravasi e dunque apprezza il toccamento di genitali al conduttore, ma guai a toccargli le Scritture, in altre parole sa metaironiz­zare sull’ironista che pretende di insegnargl­i cos’è la cultura; oppure stiamo andando verso l’analfabeti­smo, il nichilismo e la refrattari­età da viziati a ogni manifestaz­ione della bellezza. Vorremmo credere alla prima ipotesi; propendiam­o per la seconda.

PARADOSSI NOSTRANI Nel Paese di Petrarca e Vacchi, Al Bano e Romina vengono esaltati come Poeti Laureati, mentre il vero artista è sbeffeggia­to

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