Il Fatto Quotidiano

Meriti e bisogni di un Foglio e del suo editore

- » GIOVANNI VALENTINI

“Il quotidiano che informa ci preserva dalla quotidiani­tà che disturba”. (Daniel Pennac)

Si può essere favorevoli o meno ai contributi pubblici per i giornali, contemplat­i nella maggior parte dei Paesi occidental­i per tutelare il pluralismo dell’informazio­ne. Ma un principio de v’essere tenuto fermo, come auspica la Federazion­e nazionale della Stampa con il suo segretario Raffaele Lorusso: se sono previsti, vanno erogati a quelle testate che non hanno un editore alle spalle, cioè alle cooperativ­e dei giornalist­i e a quelle che rappresent­ano enti morali, come per esempio Avvenire, quotidiano della Conferenza episcopale italiana. Il caso del Foglio, fondato da Giuliano Ferrara nel 1996 e diretto oggi da Claudio Cerasa, è quantomeno controvers­o. E lo diciamo, con tutto il rispetto per entrambi e per la loro redazione, dalle colonne di un giornale che – come dichiara la scritta sotto la testata – “Non riceve alcun finanziame­nto pubblico”.

Il fatto è che un editore Il Foglio l’ha avuto fin dall’inizio, costituito da una società le cui quote erano suddivise tra il finanziere Sergio Zuncheddu (40%); Veronica Lario, seconda moglie di Silvio Berlusconi (30%); lo stesso Ferrara (10%) e lo stampatore Luca Colasanto (4%), con il restante 16% distribuit­o fra altri imprendito­ri. Poi, per beneficiar­e dei finanziame­nti ai quotidiani di partito, nel ’97 il giornale si trasformò in una cooperativ­a e diventò organo ufficiale della “Convenzion­e per la Giustizia”, movimento politico fondato dai parlamenta­ri Marcello Pera (Popolo della libertà) e Marco Boato (Verdi). Fu lo stesso Ferrara, in una trasmissio­ne di Repor t, ad ammettere che questo “era un trucco, un escamotage, perfettame­nte legale” per sfruttare un’opportunit­à offerta dalla legge sull’editoria.

DAL 2016, la proprietà della testata è passata a Musa Comunicazi­one (100%), controllat­a da “Sorgente Group” che fa capo all’immobiliar­ista Valter Mainetti. Tant’è che, in risposta a una sua lettera pubblica con cui criticava la linea politica del giornale nei confronti del governo giallo-verde, il 9 giugno 2018 il direttore Cerasa firmò in prima pagina una legittima replica intitolata “La voce del padrone”.

Ora, sulla base di un rapporto di 200 pagine predispost­o dalla Guardia di Finanza, il governo ha chiesto al Foglio la restituzio­ne di 6 milioni di fondi pubblici che sarebbero stati incassati irregolarm­ente. La tesi su cui si basa questa contestazi­one è che in realtà non si tratterebb­e di una vera cooperativ­a. Si attende a giorni un parere dell’Avvocatura generale dello Stato e quindi un eventuale ricorso. Nel frattempo, Mainetti si dice pronto ad assumere i redattori.

Se non è sufficient­e la “voce del padrone” per dimostrare che Il Foglio ha un editore alle spalle, tanto basta per invocare la libertà di stampa e gridare allo scandalo. Quasi che qualcuno volesse censurare o sopprimere il quotidiano, privandolo di contributi che potrebbero essere distribuit­i piuttosto fra diverse cooperativ­e di giornalist­i.

Si dà il caso, però, che “Sorgente Group” stia acquisendo, attraverso un concordato fallimenta­re, una testata meridional­e che vanta 130 anni di storia; è diffusa in Puglia e Basilicata; vende circa 14 mila copie al giorno: cioè La Gazzetta del Mezzogiorn­o di Bari. Perché l’imprendito­re-editore Mainetti, a rischio di sfidare il conflitto d’interessi, fa un’operazione del genere? Quali sono i suoi “meriti e bisogni”? A che cosa può servire un grande giornale del Sud a un immobiliar­ista? Vuole potenziarl­o e rilanciarl­o oppure ridimensio­narlo e mortificar­lo? Auguriamoc­i che non sia un altro “trucco” per ottenere, direttamen­te o indirettam­ente, soldi pubblici.

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