Dalla manutenzione alla vigilanza: le falle della rete di controllo
Nonostante le segnalazioni, mancano i sistemi per testare le funzionalità dopo i lavori, notturni e in una manciata d’ore
Appena hanno saputo dell’incidente, d al l’Agenzia nazionale sulla sicurezza ferroviaria (Ansf) è iniziato un raro brulicare operativo: sopralluoghi, partecipazioni alla commissione d’inchiesta, nervosismo. Per chi deve vigilare che i gestori della rete (o meglio il gestore unico, Rfi) assicurino sicurezza e manutenzione l’incidente di Lodi è un altro duro colpo nel giro di pochi mesi, da quando l’indagine per Pioltello (persero la vita tre persone) ha messo sotto la lente anche gli allora vertici dell’agenzia, il direttore Amedeo Gargiulo e il responsabile dell’ispettorato, Giovanni Caruso, e ha iniziato a identificare la filiera dei responsabili di quella che oramai è una strage silenziosa.
IN ANSF, la frequente inadeguatezza strutturale di Rete ferroviaria italiana è ben nota: le carte parlano spesso di lacune documentali, prescrizioni non soddisfatte, interventi inefficaci. Un verbale del 2016, ad esempio, racconta di interventi inidonei proprio sugli apparati di sicurezza svolti dal personale della manutenzione e “che per pura casualità non hanno avuto conseguenze più gravi”. I rapporti sono senza scampo: “Inefficacia delle azioni intraprese finora”, “presunzione di criticità di natura sistemica”. Nel dettaglio, uno di questi richiedeva, a maggio 2016, “sistemi automatici per verificare, prima della messa in esercizio di un impianto di sicurezza sottoposto a un intervento manutentivo, il corretto funzionamento delle logiche d’impianto e la concordanza tra l’effettivo stato fisico degli enti di piazzale e il comando e contr ol lo”. In sintesi, l’age nz ia chiedeva ad Rfi di mettere in piedi un sistema che garantisse che, in caso interventi ci fosse un sistema automatico che eseguisse un controllo sulla corrispondenza tra quanto manutenuto, i comandi e i sistemi di sicurezza. Calando questa prescrizione al caso Lodi, un apparato di sicurezza di questo genere non avrebbe consentito lo scambio bloccato sulla deviata né il via libera al treno. Senza alcuna fretta, Rfi risponde alle osservazioni quasi un anno dopo, a marzo 2017. “Ad oggi non sono disponibili sistemi automatici e quindi non possono che essere demandati alle squadre degli agenti della manutenzione dislocati in corrispondenza degli enti di piazzale e in cabina secondo procedure codificate per la verifica…”. Rfi si impegna poi ad avviare attività di ricerca e sviluppo sulla materia. Fine della storia. Nessuna mitigazione, nessun controllo ulteriore, nessuna imposizione da parte di Ansf. Si sa tutto, ma poi si fa ben poco. L’apparato ispettivo di Ansf è praticamente azzerato, le ispezioni non sono sul campo ma solo documentali per accertarsi che il gestore segua le attività programmate e pianificate e l’agenzia che dovrebbe spingere sul controllo, unendo anche la vigilanza su autostrada (Ansfisa), per metà brancola nel buio e per metà è stata azzoppata da un emendamento che l’ha resa solo ‘promotrice’ della sicurezza e non più ‘res p on s a bi l e ’ come pensato quando fu istituita dall’allora ministro Danilo Toninelli.
OLTRE la tecnologia, c’è poi il sistema umano della manutenzione. Le politiche di Rfi prevedono che si svolga solo di notte, il blocco della circolazione va da circa mezzanotte alle cinque del mattino ed è deciso dal cosiddetto Posto operativo centrale che, di fatto, è il regolatore della circolazione e copre da solo centinaia di chilometri di rete. La macchina della manutenzione parte invece dai “posti di movimento”: gli operai delle ditte che hanno vinto in subappalto le gare di Rfi in “assicurazione di qualità” si devono immettere sui binari e in poco più di tre ore (considerando tempi di accesso e di uscita), devono controllare binari, segnalamento, frequenze, sistemi per il pubblico e così via. Al termine degli interventi, devono informare il ferroviere responsabile sul proprio tratto che, attraverso i fonogrammi, comunica al regolatore centrale le eventuali misure di mitigazione (anche solo consigliare un rallentamento su un tratto) oppure che nulla osta al passaggio. Problema: tutto è veloce, si basa su comunicazioni e i via libera tra i vari gradi di lavoro e manca un cosiddetto sistema ridondante, che duplichi le verifiche annullando i rischi.
UN PROBLEMA di filiera, quindi, che pone diversi tipi di soluzione: una tecnologica che, però, ad oggi non sembra essere disponibile, e una umana con l’aumento del personale ferroviario responsabile, passato dagli oltre 200mila dipendenti degli anni Novanta ai circa 70mila di oggi. Più difficile invece pensare o ipotizzare la manutenzione di giorno: si dovrebbero individuare giorni e ore in cui le linee siano meno utilizzate e rischiare di perdere viaggiatori. Meglio lasciare tutto così. Anche perché, se pure Ansf (o Ansfisa) dovesse svegliarsi, non effettuerà ispezioni in notturna. E, come nel 2014 e nel 2019, potrà continuare a rilasciare i certificati di sicurezza nonostante tutti i rilievi e le prescrizioni di non ottemperanza. Perché tanto si sa, i treni sono sicuri: cosa vuoi che succeda?
Peccato originale L’Ansf prescrive, ma il gestore non esegue Si lascia correre e si danno pure i permessi
Il metodo Nel 2016 si chiedeva di potenziare le verifiche sulle “logiche di impianto”