PLURALISMO RAI, NON BASTA LA MULTA AGCOM
“Perché (…) il centrosinistra non pose mano, con forza e chiarezza, al problema fondamentale delle ‘garanzie’ per la più grande impresa di comunicazione nazionale, salvaguardandola alla maniera della Bbc o della Télévision de France?”.
(da Affondate la Rai di Vittorio Emiliani – Garzanti, 2002 – pag. 17)
Sembra quasi una disposizione testamentaria, ma in ogni caso meglio tardi che mai. La delibera con cui l’Autorità di garanzia sulle comunicazioni – già scaduta a giugno e ora in regime di “prorogatio” – in vista del rinnovo del suo collegio ha comminato una multa di un milione e mezzo di euro alla Rai per violazione dei principi d’indipendenza, imparzialità e pluralismo, è tanto tardiva quanto fondata e opportuna.
Forse sarebbe stato meglio che l’Agcom fosse intervenuta con maggiore tempestività e decisione, per impedire la reiterazione di una condotta prolungata e recidiva che ha privilegiato una parte politica, cioè il centrodestra trainato da Matteo Salvini, compromettendo così l’immagine e la legittimità del servizio pubblico radiotelevisivo. E tuttavia, bisogna dare atto all’Authority di aver finalmente sanzionato l’azienda guidata dal presidente sovranista Marcello Foa e dall’amministratore delegato Fabrizio Salini, corresponsabili di un abuso di Stato commesso ai danni dell’opinione pubblica e in particolare dell’attuale maggioranza parlamentare.
IN QUESTA OPERAZIONE di “disinformatia” sistematica, documentata dai dati pubblicati e contestati dalla stessa Agcom, si sono distinti innanzitutto i telegiornali, a cominciare dal Tg2 di Gennaro Sangiuliano, ribattezzato “Tele-Salvini”. Ma anche alcune trasmissioni cosiddette politiche, più show che talk, come Porta a Portadi Bruno Vespa. È stata proprio la sua redazione a trasmettere, alla vigilia delle elezioni regionali in Emilia Romagna, un mega-spot propagandistico a favore di Salvini. Il conduttore che s’è trasformato in “artista”, per aggirare il tetto degli stipendi per i dipendenti pubblici, se n’è assunto pubblicamente la responsabilità. E allora, c’è da aspettarsi che una parte di questa multa gli venga addebitata “pro quota” invece di ricadere sul bilancio di Viale Mazzini e quindi sulla tasche dei cittadini che pagano il canone.
Non basta, però, una sanzione amministrativa per risolvere la crisi di un servizio pubblico allo sbando. Qui siamo di fronte ormai a una violazione per così dire strutturale dello stesso contratto di servizio che regola i rapporti fra lo Stato e la Rai. Una malagestione che utilizza le reti, i programmi, le frequenze pubbliche a fini di parte o di partito, in funzione di questo o quel leader politico.
Se alla delibera dell’Agcom non seguirà dunque una riforma radicale dell’azienda, quel milione e mezzo di multa andrà a fondo perduto. I tg continueranno ad alterare od occultare la vita politica, come stanno facendo anche in questi giorni ignorando il referendum del 29 marzo sul taglio dei parlamentari. E i conduttori, gli “artisti” e gli influencer radiotelevisivi continueranno a fare propaganda più o meno occulta piuttosto che informazione.
Sarà stato pure un successo l’ultimo Festival di Sanremo, sia per gli ascolti sia per la raccolta pubblicitaria, ma non può diventare l’alibi dietro cui nascondersi per invocare un’assoluzione generale per la tv di Stato. Lo scandalo di quei 634 dirigenti in trasferta è il sintomo rivelatore di un malcostume che non è compatibile con la missione e la credibilità del servizio pubblico. E in nome della trasparenza, sarebbe ora di scoperchiare una volta per tutte il pentolone maleodorante dei maxi-compensi, degli appalti esterni e degli agenti televisivi.