Il Fatto Quotidiano

“Mio marito mi stalkerava, salvo per 20 mesi di stallo”

Stalking, il marito condannato in Appello. Poi l’errore della cancelleri­a fa prescriver­e tutto

- PACELLI

Un ricorso dimenticat­o nei cassetti della cancelleri­a della Corte d’appello per quasi due anni. E un uomo accusato di violazione di domicilio, danneggiam­ento e atti persecutor­i nei confronti della ex moglie e delle figlie minorenni che si salva grazie alla prescrizio­ne. È l’epilogo di sette anni di processo che Maria (nome di fantasia), ha dovuto affrontare dopo la separazion­e. Ancora oggi preferisce non parlare in prima persona, ma per ricostruir­e la sua storia basta leggere le tre sentenze del processo contro il suo ex.

Tutto comincia nel 2010 quando un giudice stabilisce che la casa di proprietà del marito deve essere assegnata a lei e alle figlie minorenni. A novembre di quell’anno Maria aspetta le chiavi, ma quando alle otto di sera si presenta davanti all’appartamen­to capisce che le cose si stanno mettendo male: quel giorno trova l’ex marito a cena con i genitori e i pacchi ancora da fare. “Ricordo le lacrime, la delusione, quando con le tartarughe e le valigie, le cose che c’eravamo portate quel 12 novembre, siamo dovute andare via”, è la dichiarazi­one resa in sede dibattimen­tale della donna, che non riesce ad entrare in casa nè quel giorno nè nei mesi successivi.

Solo nell’aprile del 2011 “cinque mesi dopo la scadenza stabilita in via giudiziari­a – ricostruis­cono i giudici di primo grado – era riuscita a rientrare nell’abitazione in assenza del marito”. A quel punto Maria cambia la serratura ma l’ex torna a casa e prova ad entrare. “Me lo ritrovai nel giardino – racconta – (...). Aveva divelto la rete del giardino, aveva dato una spallata alla finestra della veranda e non è riuscito ad entrare dentro casa” “perchè c’era un’inferriata di ferro chiusa”. L’uomo però, stando a quanto riferito ai giudici dalla donna, non si arrende: “Si arrampicav­a su questa inferriata e ha preso il bastone che apre la tenda e ha tentato anche di spaccare un vetro sempre nel tentativo di metterci paura”. A questo punto l’ex non riuscendo ad entrare in casa, decide di rimanere in veranda per otto giorni “senza allontanar­si se non supportato dalla madre che ogni tanto gli dava il cambio”.

COSÌ la vita di Maria e delle figlie cambia: “Eravamo completame­nte segregate, quindi con le serrande abbassate altrimenti avrebbe visto quello che facevamo in casa”. Come ricostruit­o dai giudici di primo grado, anche alcuni testimoni confermano quella “presenza dell’imputato nel giardino di casa, presenza trasformat­asi in una sorta di assedio alla stessa”. Alla fine intervengo­no i carabinier­i, ma Maria continua a vivere nella paura con l’ex che nel frattempo si era trasferito nelle vicinanze.

La storia finisce in tribunale e l’uomo nel 2015 viene condannato in primo grado a un anno e tre mesi di reclusione, pena sospesa. Due anni dopo, i giudici della Corte d’appello confermano la pena. Maria è convinta che di lì a poco il processo contro l’ex si sarebbe chiuso in Cassazione. Ma le sorti si ribaltano. E a favore dell’ex marito che intanto aveva presentato due ricorsi. Il primo arriva a sentenza a luglio 2018, con la quinta sezione penale della Cassazione che lo dichiara inammissib­ile. In realtà però era già stato depositato un secondo ricorso, presentato da un altro difensore dell’ex di Maria, che resta fermo in Corte d’appello per 20 mesi. La cancelleri­a infatti lo invia in Cassazione solo a marzo 2019. Un “errore materiale”. E così nel giugno dello stesso anno la Suprema Corte è costretta a revocare la sentenza del luglio 2018. Un pasticcio. Il caso deve essere trattato di nuovo: si ricomincia ma ormai è trascorso troppo tempo.

“CI SIAMO ritrovati davanti a una situazione paradossal­e – spiega l’avvocato Veronica Arciero, che ha seguito in questi anni la donna –. La Cassazione ha emesso una sentenza per rigettare un primo ricorso dell’imputato. Ma vi era un secondo ricorso che giaceva in appello. Alla fine i giudici non hanno potuto far altro che constatare la prescrizio­ne del reato. Sette anni di processo, sette anni di paure. Per che cosa?”. Eppure quel secondo ricorso che giaceva in Corte d’appello la Arciero l’ha cercato per mesi. “Sono andata personalme­nte – spiega –. Ho iniziato a cercarlo quando l’avvocato dell’imputato me ne ha parlato”. Il risultato è un nulla di fatto: nel novembre scorso la Cassazione stabilisce che “non tutti i motivi di ricorso” dell’ex marito “sono inammissib­ili, ma per lo più infondati”. Così “non potendosi pervenire al prosciogli­mento dell’imputato nel merito degli addebiti (...) deve rivelarsi che al momento attuale (...) è maturato il termine massimo di prescrizio­ne, pari a 7 anni e 6 mesi, venuto a scadenza dopo la sentenza di appello”.

LA STORIA di Maria è quella di tante altre donne. Con il codice rosso, il ddl che dispone le misure per tutelare le vittime di violenza domestica e di genere, approvato a luglio 2019, si sono stabilite pene più severe ma si è agito anche sul fattore “tempo” per velocizzar­e l’avvio delle indagini. Eppure, come afferma l’avvocato Teresa Manente dell’a ss o ci azione “Differenza Donna” la strada è lunga. “Il problema – spiega – è che ancora oggi non viene applicato l’articolo 132 bis delle disposizio­ni di attuazione del codice di procedura penale che prevede che i processi relativi ai reati di violenza di genere (come atti persecutor­i, maltrattam­enti) debbano avere priorità. A oggi la prescrizio­ne interviene dopo molti anni, ma non serve allungare i tempi di estinzione del reato se non si applicano le leggi che tutelano le donne nell’immediatez­za e prevengono il femminicid­io”.

L’AVV. TERESA MANENTE

Il Codice Rosso ha cambiato molte cose Il problema è che ancora oggi non si applica la norma che dà priorità a questo tipo di processi

Lui è rimasto in veranda per otto giorni Vivevamo con le serrande abbassate per non farci vedere

La presenza dell’imputato nel giardino di casa si era trasformat­a in una sorta di assedio

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Ansa Il processo La storia di una donna vittima di stalking che non ha mai trovato giustizia
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