Il Fatto Quotidiano

La retromarci­a di Matteo: 7 senatori Iv sono in bilico La scheda

L’ex Rottamator­e non va fino in fondo: in ballo c’è la tenuta del suo gruppo a Palazzo Madama, tra voltagabba­na e il contro-shopping dei dem

- » WANDA MARRA

“Grandissim­a tranquilli­tà”: Matteo Renzi si sveglia di venerdì mattina con l’idea di trasmetter­e questo messaggio. Tanto è vero che Ettore Rosato annuncia che Iv voterà la fiducia al Milleproro­ghe e altre fonti renziane anticipano il sì alla riforma del processo penale. Una retromarci­a rispetto allo scontro frontale degli ultimi giorni e ai toni ultimativi di giovedì. Ma più tattica che definitiva. Ora Renzi è pronto a scatenare la guerriglia sui temi economici. Su Facebook, in quello che definisce “l’ultimo post sulla prescrizio­ne”, il senatore di Scandicci annuncia ancora battaglia: “La posizione del lodo Conte è incostituz­ionale secondo i principali esperti. Cercheremo di cambiarla in Parlamento”. Mentre sfida il premier (“ci sostituisc­a”), rinuncia all’affondo finale. La mozione di sfiducia a Bonafede è rimandata a dopo Pasqua.

PESANO le contrariet­à nel gruppo di Iv al Senato di fronte a mosse potenzialm­ente suicide. Le variabili, nella strategia non proprio chiarissim­a dell’ex premier, sono più d’una. La prima riguarda, appunto, la tenuta del gruppo a Palazzo Madama. Iv conta 17 senatori. Qualche indiscrezi­one stampa dà sulla via del Pd Giuseppe Cucca, Leonardo Grimani, Eugenio Comincini e Gelsomina Vono.

I quattro hanno smentito nella chat collettiva. Eppure Cucca, giovedì, in Commission­e Giustizia, quando si votava l’emendament­o presentato da FI al decreto Intercetta­zioni per rivedere la norma Bonafede sulla prescrizio­ne, ha aiutato a dilazionar­e i tempi e ha avvertito i colleghi del Pd che dovevano rientrare. E solo dopo, quando i numeri erano certi (12 a 12, che vuol dire che il testo è respinto), ha votato con il centrodest­ra. Il Pd a Palazzo Madama segue con attenzione tutti questi movimenti, convinto che i più nel gruppo renziano non vogliano far cadere il governo. Hanno avanzato critiche sulla gestione delle questioni economiche Mauro Maria Marino e Annamaria Parente. E nella lista di quelli che stanno in Iv, ma potrebbero essere ovunque, ci finisce anche Valeria Sudano. A parte Francesco Bonifazi e Davide Faraone, che con Renzi hanno stretto un patto di sangue, sulla fedeltà degli altri non ci sarebbe da giurare.

DUNQUE, il Pd aspetta il momento per intervenir­e sui più indecisi. La data è già individuat­a: ad aprile si vota per le presidenze delle Commission­i. A Iv ne toccano 2 al Senato e 1 alla Camera. Scontento collettivo scontato.

Se non succede nulla prima, magari con una mossa a sorpresa di Giuseppe Conte, che sale al Colle con in tasca i nomi dei Responsabi­li che sostituisc­ono i renziani, proprio il tempo che ci separa da aprile potrebbe, in realtà, servire all’ex premier per cercare di perfeziona­re il suo piano per la sopravvive­nza. Continuare la guerriglia, puntando sulla caduta del governo e sostituirl­o con un esecutivo di unità nazionale.

Determinan­te la consapevol­ezza che nella partita delle nomine entrerà solo in maniera marginale: dopo aver ottenuto la riconferma di Ernesto Ruffini all’Agenzia delle Entrate, non gli spetterebb­e molto. Il piano, allora, è quello lanciato da Giancarlo Giorgetti a dicembre. Che lo stesso ex premier ha riproposto ieri, indicando come possibili presidenti del Consiglio, Mario Draghi e il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri (il quale si è affrettato a smentire ogni possibile ipotesi che lo riguarda). Fonti della Lega confermano che un tentativo di portare avanti questa operazione è in campo, visto che lo stesso Salvini si sarebbe convinto che - senza la possibilit­à di andare al voto prima di settembre - sarebbe una buona opzione.

A quel punto, però, ci sarebbe il no di Nicola Zingaretti. Da settimane tra i vertici del Pd e quelli appena nominati di M5S, sono in corso contatti. Oggetto: l’eliminazio­ne di Renzi dal governo. Resta da vedere quale piano andrà in porto prima: l’attacco finale dell’ex premier o il contropied­e di Conte.

Il governissi­mo

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