TORINO, ITALIA: PER GLI OPERAI LA VITA È AGRA
Per due giorni, da giovedì a venerdì scorsi, a Torino, in piazza Castello, la piazza aulica della città (Palazzo Reale, Palazzo Madama, la Regione, il Teatro Regio), si è mostrata in pubblico la solitudine operaia. Una “48 ore contro la crisi” del settore metalmeccanico e dell’automobile – promossa da Fim, Fiom e Uilm – è diventata, come ha titolato l’edizione torinese di Repubbli
ca, “il palcoscenico per la vita agra delle tute blu in cassa” (integrazione). Ricordandoci implicitamente quanto ci vorrebbero oggi scrittori come Luciano Bianciardi per narrare, appunto, la Vita agra delle operaie e degli operai. Invece i nostri romanzieri di adesso inseguono i “colibrì” e i politici replicano ogni giorno le futilità da oratorio dell’Alberto Sordi di Mamma mia che impressione!, o si fanno arrestare per corruzione o mafia.
COSÌ, ALLE OPERAIE e agli operai di Torino, e di tutta l’Italia, perché questa è Torino-Italia, non resta che occupare pochi metri quadrati di una piazza e raccontare, nella indifferenza generale, storie di cassintegrati, di fabbriche chiuse, di padroni che fanno spezzatini delle aziende, di famiglie monoreddito allo stremo. Narrano la loro solitudine, la solitudine del lavoro operaio, del lavoro frantumato, disprezzato, cancellato, da Torino al resto del Paese. Come racconta un lavoratore delle Presse della Fiat (Fca) Mirafiori: “Eravamo 3.000, ora solo 500. E non c’è nessuno a cui passare le nostre conoscenze e il testimone”.
MUORE, nella solitudine, il lavoro operaio; muore una storia, se ne va un pezzo di Storia, si perde un patrimonio umano e politico, morale e culturale, e ciò che resiste per poco è solo sopravvivenza. Si “vive alla giornata”, dice quell’operaio delle Presse, “sperando di lavorare un giorno in più la settimana successiva”.
VA IN SCENA alla giornata la solitudine operaia, in questa Torino-Italia, in questa Italia-Torino.
Come andava in scena, e si annullava, in solitudine, in La vita
agra di Bianciardi, il tentativo del protagonista di vendicare i minatori morti nella tragedia di Ribolla. Oggi, poi, qui da noi, nella Torino-Italia, o Italia-Torino, non c’è nemmeno un epigono di Bianciardi, o di Ken Loach, per dire di quella solitudine operaia. Si fa la “guerra” mediatica, politicamente strumentale, sulle foibe, sul ricordo e sulla memoria, ma non c’è più memoria del lavoro, delle operaie e degli operai, di quella classe operaia che con gli scioperi del 1943 e 1944 contribuì alla fine del nazifascismo e, negli anni Sessanta-Settanta, a tante conquiste democratiche.
Per 48 ore, a Torino, si è visto un piccolo palcoscenico della vita agra delle tute blu. Lo si vede e lo si vedrà altrove, ma sempre per 48 ore.
ALTRO CHE BIANCIARDI
Nel capoluogo piemontese, 48 ore di manifestazione nella solitudine più assoluta: 500 i presenti e nessuna attenzione