Rocchelli e Mironov erano nel “posto sbagliato”
“The wrong place” tutti i dubbi dell’omicidio dei due reporter nel Donbass nel 2014
THE WRONG PLACE Documentario di Cristiano Tinazzi, Olga Tokariuk, Danilo Elia e Ruben Lagattolla presentato ieri alla Camera
Blu
e giallo, come la bandiera bicolore di Kiev, è lo sfondo della sala stampa della Camera dei deputati dove ieri, a sei anni dalla morte dei giornalisti Andy Rocchelli e Andrey Mironov – avvenuta il 24 maggio 2014 a Slavyank, Donbass di guerra, Ucraina –, è stato presentato il progetto The wrong place, il posto sbagliato, titolo del documentario di Cristiano Tinazzi, Olga Tokariuk, Danilo Elia, Ruben Lagattola. La scelta del nome è stata “dettata dal senso di casualità degli eventi, chi lavora in aeree di crisi si può trovare in situazioni di cui non si può prevedere l’esito, dove succede l’improbabile” spiega Tinazzi al telefono. Per concorso in omicidio dei due reporter il soldato della Guardia nazionale ucraina Vitaly Markiv, 30 anni e doppia cittadinanza, sia italiana che ucraina, imputato unico del processo, ha ricevuto dalla Corte d’Assise di Pavia una condanna a 24 anni di reclusione dopo i 17 richiesti in precedenza dal pm Andrea Zanoncelli.
“L’OBIETTIVO ERA fare chiarezza sui dubbi causati dalla sentenza, partendo dai dati delle carte dell’accusa che non si è recata in loco, siamo andati a Slavyansk per compiere rilevamenti tecnici avvalendoci d e l l’aiuto di esperti militari, balistici, cartografi” spiega il regista del lavoro presentato ieri a Roma con il supporto dei radicali italiani, Igor Boni e Silvia Manzi, che chiedono chiarezza per Andy e per “l’amico e militante radicale Andrey Mironov”. Per loro “giustizia non è arrivata con la condanna in primo grado a Vitaly Markiv”, una sentenza prodotta “dopo un processo lacunoso, viziato dalla propaganda russa e mancata conoscenza di fatti storici essenziali”.
“Andy e Andrey cercavano di dare voce ai più vulnerabili, in quei giorni cercavano di capire chi sparava in direzione dei civili” ricorda da Londra la nipote di Andrey Mironov, Sofia Keyes. “Dico solo due cose: mio zio era molto più che un traduttore come è stato scritto dalla stampa, era un giornalista, attivista per i diritti umani”. Aggiunge che rimane “preoccupante la campagna per assolvere i responsabili, per minare lo sforzo di assicurare i colpevoli alla giustizia per l’uccisione dei giornalisti”.
“Liberate Markiv”. Il 7 febbraio scorso il presidente Volodimir Zelensky, ringraziato pubblicamente dalla madre del soldato, ha discusso con il premier Conte il ritorno a casa del militare della Guardia Nazionale: “Capisco che il primo ministro non possa influenzare la Corte italiana, ma gli ho detto nei dettagli cosa è successo, a che distanza si trovava dalla scena dell’omicidio, e che dobbiamo far uscire il ragazzo”. Una dichiarazione consultabile sulla piattaforma governativa ucraina del Capo di Stato.
“Indagini supplementari”, commenta infine da Pavia Rino Rocchelli, padre di Andy, “sono compito delle autorità ucraine, è responsabilità dello Stato ucraino fornire spiegazioni che finora hanno lasciato a desiderare”, ricordando che “in Italia vige la divisione dei poteri”.