Fratelli d’Italia e di mattone: case per 200 milioni bloccate dalle liti
Il patrimonio immobiliare che fa riferimento al partito della Meloni resta “ostaggio” di beghe, morosi e colonnelli
Con una sintesi che sui social ha fatto furore si è descritta così: “Sono una donna, sono una madre, sono cristiana”. Giorgia Meloni avrebbe anche potuto aggiungere: “Sono pure molto fortunata”. Non solo perché come si dice a Roma je va l'acqua pe’ l'orto, e il suo partito, Fratelli d’Italia, cresce nelle urne e soprattutto nei sondaggi quasi senza colpo ferire, senza che lei stessa in fondo abbia fatto molto perché ciò succedesse. La Meloni è fortunata per un ’ altra circostanza: da quando dopo una lunga gavetta militante è arrivata alla presidenza del partito, si è assisa su un tesoro. Tanti quattrini, centinaia di milioni di euro, un patrimonio ragguardevole che però è come la Spada nella roccia, inamovibile in attesa che arrivi il predestinato animato da nobili sentimenti e capace di estrarla che diventa re.
Almeno per il momento la Meloni non sembra vestire i panni della regina e a estrarre la spada non ci ha nemmeno provato. Il tesoro in questione è quello della Fondazione An e della Immobiliare Nuova Mancini: 53 immobili sparsi in ogni regione d’Italia, in prevalenza Roma, ma molti anche in Lombardia, Marche, Sicilia, riuniti in blocco nel momento in cui An si sciolse e elencati in una lista aggiornata e molto dettagliata con i dati e le condizioni di ogni singolo bene (locato, occupato, sfratto in corso, libero a disposizione, ecc.).
I morosi delle 12 stanze e il canone politico
Fino a qualche anno fa gli immobili erano 70: qualcuno di essi nel frattempo è sparito, venduto o forse finito in altre mani. Quando gli immobili erano 70 i giornali provarono a fare una stima e Il Sole 24 Ore e Repubblica ipotizzarono che quel patrimonio potesse valere tra i 300 e i 400 milioni di euro. Ora con la crisi del mattone e la scomparsa di 17 case la valutazione va rivista al ribasso, forse il tutto vale la metà di un tempo, ma anche 150 o 200 milioni di euro non sono uno scherzo. Alcuni degli immobili della Fondazione risultano affittati a Fratelli d’Italia a canoni che è lecito ritenere “politici”, anche se almeno in un caso il partito risulta moroso, come succede per le 6 stanze di via Miceli a Cosenza. È locato a Fratelli d’Italia un pezzetto ( 7 stanze) della sede storica del Msi e di Alleanza Nazionale al numero 39 del palazzo di via della Scrofa a Roma.
Qualche appartamento è catalogato come affittato a terzi, come i 9 vani della sezione di via Sommacampagna a Roma che fu del Movimento sociale e del Fuan (Fronte universitario di azione nazionale) o i 6 vani di via Livorno sempre a Roma. Qualche altro immobile è occupato ed è in corso lo sfratto per morosità (12 stanze in via Paisiello a Roma), altri sono in procinto di esser messi in affitto tipo i 5 vani in Corso Romita ad Alessandria, mentre per i 5 vani in via Dandolo a Venezia Lido ci sono trattative per la vendita.
Alcuni appartamenti sono addirittura inagibili, come gli 11 vani in via della Pescheria a Rieti o i 3 vani in piazza della Libertà a Tolentino, toccati più o meno gravemente dal terremoto. Infine ci sono due immobili occupati «sine titulo», il primo, assai grande a Bari (11 vani e mezzo) messo a disposizione della Fondazione Tatarella e il secondo occupato da Fratelli d’Italia a Legnano in via Volturno. Molti dei 54 immobili della Fondazione sono però «liberi a disposizione», cioè sono vuoti e stanno lì a prendere la polvere e a pesare fiscalmente con l’Imu.
La cassa integrazione al “Secolo d’Italia”
In qualsiasi altra circostanza quei beni verrebberro valorizzati e messi a reddito o venduti o usati come leva per altri tipi di operazioni economiche e finanziarie. Con la Meloni prevale un’i mmobile prudenza, poche anche le iniziative culturali organizzate dalla Fondazione e quasi sempre su inoffensivi argomenti general-generici, rare le occasioni di confronto vero.
Tra i pochi usi conosciuti del tesoro della Fondazione ci sono una scuola di formazione politica e il Secolo d’I tali a, l’ex giornale del partito finito in pessime acque, ridotto ai minimi termini e confinato on line, con una redazione di una quindicina di giornalisti che fanno i conti con i contratti di solidarietà e la cassa integrazione annunciata. La Fondazione provvede al pagamento del direttore, Francesco Storace, ex ministro, ex presidente della Regione Lazio, e del direttore editoriale, Italo Bocchino.
Ogni tanto per il controllo della Fondazione scoppiano baruffe chiozzotte tra i big del partito, ma si tratta di tempeste in un bicchier d’acqua, esibizioni muscolari per piantare ciascuno le proprie bandierine.
La Spada che resta conficcata nella roccia
Da Ignazio La Russa a Maurizio Gasparri, da Gianni Alemanno a Fabio Rampelli tutti i colonnelli sono rappresentati nel consiglio di amministrazione e a tutti in fondo almeno per il momento va bene che la Spada resti conficcata nella roccia: dopo la diaspora e il raggiungimento di una faticosa convivenza nessuno dichiara guerra. A presiedere la Fondazione per anni c’è stato il figlio di un “camerat a” di Grosseto, l’accondiscendente avvocato e senatore Franco Mugnai, sostituito un paio d’anni fa da un altro avvocato, Giuseppe Valentino, rodato punto di riferimento per dirigenti e militanti nei guai con la giustizia. È considerato un galantuomo e il suo compito è garantire la pax immobiliare.
Sintetizza dietro garanzia dell’anonimato un ex colonnello di An che conosce bene la faccenda: “È come avere la bomba atomica in salotto e non capendo bene a cosa serve piazzarci sopra il televisore”.
Il “paradosso” In altri casi, beni simili sarebbero messi a profitto o usati per operazioni finanziarie
La pax immobile Nel Cda della Fondazione siedono tutte le anime e tutti i big ex An