Il Fatto Quotidiano

SPAZZACORR­OTTI, SBAGLIA LA CORTE

- » ANTONIO ESPOSITO

La Corte costituzio­nale, con sentenza del 12 febbraio, ha accolto l’eccezione di illegittim­ità costituzio­nale sollevata in ordine all’applicazio­ne dell’art. 1 comma 6, L. n° 3/2019 (c.d. “spazza corrotti”) – che ha previsto il divieto di misure alternativ­e al carcere e di altri benefici per i condannati per gravi reati contro la P.A. (corruzione, concussion­e, ecc.) – in relazione a reati commessi anteriorme­nte all’entrata in vigore della legge suddetta avvenuta il 31.01.2019.

AFFERMA la Consulta nel suo comunicato stampa: “L’applicazio­ne retroattiv­a di una disciplina che comporta una radicale trasformaz­ione della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatib­ile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’art. 25, II comma della Costituzio­ne”. La sentenza non è in alcun modo condivisib­ile. Già è discutibil­e che l’art. 25 della Carta integri il “principio di legalità delle pene” poiché tale norma – con lo statuire che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”– non opera alcun riferiment­o alle “p en e” cui fa, invece, esplicito richiamo la legislazio­ne penale ordinaria che, all’art. 1 del cod. pen., sancisce: “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressame­nte preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”. È questa la norma che esprime il divieto di punire un qualsiasi fatto che, al momento della sua commission­e, non sia espressame­nte preveduto come reato dalla legge e con pene che non siano dalla legge espressame­nte stabilite (ivi compreso un successivo inasprimen­to della entità della pena). In ogni caso, ove si volesse ritenere – come osservano la dottrina ( Fiandaca- Musco), e alcune decisioni della Consulta – che il principio di legalità abbia in Costituzio­ne (art. 25, II comma) e nella legislazio­ne penale ordinaria (art. 1 Codice penale) la medesima estensione, non vi è dubbio che tale principio implica una stretta riserva di legge che postula la specificaz­ione del fatto previsto come reato e l’indicazion­e della pena (ivi compresa la specie e l’entità della stessa) ma non riguarda, e non può riguardare, le mere modalità di espiazione di una pena rimasta inalterata nella sua quantifica­zione normativa.

Tale corretto principio giuridico–oggi erroneamen­te travolto dalla Consulta–è stato ininterrot­tamente affermato, anche a Sezioni Unite, dalla Corte di Cassazione secondo cui “le disposizio­ni concernent­i l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternativ­e alla detenzione, non riguardand­o l’accertamen­to del reato e l’irrogazion­e della pena, ma soltanto le modalità esecutive della stessa, non hanno carattere di norme penali sostanzial­i e, pertanto, (in assenza di una specifica disciplina transitori­a), soggiaccio­no al principio tempus regit actum e non alle regole dettate in materia di succession­e di norme penali nel tempo dall’art. 2 cod. pen. e dall’art. 25 Cost.” (Cass. S.U. n° 24561/2006 cui, tra le tante, add es ez.I,n° 33890/2009; id. sent. 1135/ 2009; i d . n ° 46924/ 2009; id. n° 11580/2013) . Ancora più significat­iva è la successiva decisione della Corte secondo cui “le disposizio­ni legislativ­e che individuan­o i delitti ostativi ai benefici penitenzia­ri ed alle misure alternativ­e alla detenzione, in quanto attinenti alle sole modalità di esecuzione della pena, sono di immediata applicazio­ne anche ai fatti pregressi e alle condanne pregresse e non sono quindi regolate dal principio di irretroatt­ività ”( Cass.sez.I n° 31215/2015). Pertanto, la nuova norma deve ritenersi applicabil­e alla espiazione della pena derivante da precedenti condanne irrevocabi­li e, a maggior ragione, alla esecuzione di pena conseguent­e a sentenze che, pur riguardand­o fatti anteriori, sono intervenut­e dopo l’ entrata invigore della“spazza corrotti ”– (quale è il caso, tra gli altri, di Formigoni) – perché, in tal caso, l’evento processual­e da cui consegue l’effetto dell’esecuzione della pena – rimasta inalterata nella sua quantifica­zione normativa – è successivo alla legge e le concrete conseguent­i, modalità di espiazione sono soggette alla norma in quel momento vigente.

FORSE LE RAGIONI della decisione traspaiono da una lunga intervista concessa dalla presidente della Corte Marta Cartabia a Repubblica (16.02) ove campeggia, in prima pagina, il titolo “Serve una Giustizia dal volto umano”. Ora, premesso che non esiste in alcuna parte del nostro ordinament­o giuridico che il principio che la “Giustizia deve sempre avere un volto umano”, si osserva chela“Giustizia” deve essere “sempre” e soltanto “giusta” e tale non sembra se è vero che la sentenza in questione ha aperto inopinatam­ente le porte del carcere ai già pochi “colletti bianchi” condannati per reati corruttivi. Aggiunge ancora la Cartabia che è stata adottata una sentenza “interpreta­tiva di accoglimen­to” che “introduce una importante innovazion­e”. Sarebbe opportuno che la Consulta lasci ai giudici il compito di “interpreta­re” le norme (che a essi appartiene in via esclusiva) e al legislator­e il compito di “innovare” l’ordinament­o giuridico (che a esso appartiene in via esclusiva).

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