La storia dei virus passati
“Le malattie infettive più pericolose per l’uomo sono in genere conseguenza di salti di specie”: Giovanni Rezza è il direttore del Dipartimento di malattie infettive all’Istituto Superiore di Sanità. È appena uscito con un libro dal titolo Epidemie. I perché di una minaccia globale (Carocci) ed è la persona giusta per spiegare, partendo dall’attuale epidemia di Covid-19 (il nuovo ceppo di Coronavirus), come mai nonostante l’evoluzione della medicina, dai primi anni del Duemila emergano nuovi virus sconosciuti e come si siano evolute le maggiori epidemie degli ultimi anni, dalla Sars all’influenza aviaria.
SARS. È una forma di polmonite atipica che si trasmette per via respiratoria e che si è sviluppata nella provincia cinese del Guandong a fine 2002, per estendersi rapidamente a Hong Kong, Pechino, Singapore e Toronto. L’allarme fu lanciato dall’Oms il 15 marzo 2003. L’epidemia, probabilmente causata da un salto di specie del virus dal pipistrello allo zibetto e all’uomo, apparve e scomparve nel giro di pochi mesi, ma fece in tempo a mietere 774 vite, con oltre 8 mila casi segnalati in 29 Paesi e un tassi di letalità del 9,6%. Tra le vittime – come ricorda Rezza nel libro – ci fu il medico italiano Carlo Urbani, il primo a diagnosticare l’infezione ancora sconosciuta a un paziente in un ospedale di Hanoi (Vietnam) il 26 febbraio 2003 (Urbani fu ucciso dalla Sars a metà marzo). La sua diagnosi permise all’Oms di lanciare l’allarme mondiale e sollecitare le misure di contenimento. “Dal giugno 2003 e per 6 mesi non vennero più segnalati casi di Sars”, racconta Rezza. In seguito, a causa di incidenti in laboratori di ricerca, si ebbe la comparsa di nuovi, arginati tempestivamente.
MERS. Nel 2012, nella Penisola arabica compare una nuova sindrome respiratoria causata da un altro ceppo di Coronavirus e di origine zoonotica (dal pipistrello al cammello e poi all’uomo). La famiglia dei Coronavirus comprende virus capaci di indurre malattie nell’uomo che vanno dal comune raffreddore alla Sars e all’attuale epidemia di Covid-19. Sebbene Mers mostri un alto tasso di letalità ( 20- 30%) si propaga lentamente. È riapparsa in Corea del Sud nel 2015, con un focolaio di 200 contagi, che è stato prontamente controllato.
EBOLA. La febbre emorragica proveniente dall’Africa Subsahariana, con alto tasso di letalità per l’uomo e causata da un agente patogeno della famiglia dei filovirus, ha come serbatoio principale di infezione le grandi scimmie. I sintomi non sono sempre riconosciuti tempestivamente poiché sono simili a quelli di influenze, tifo e malaria, pertanto il primo veicolo dell’infezione, come in altre epidemie, è il personale sanitario. In Africa, Ebola si è presentata a più ondate dalla fine degli anni 60, con una letalità anche dell’88%. Nel 2013, esplosero focolai anche tra Guinea, Liberia e Sierra Leone. Di nuovo, il ritardo diagnostico, ma anche ospedali fatiscenti e nuclei familiari caratterizzati da promiscuità e sovraffollamento, amplificarono l’epidemia, che si trasmette da uomo a uomo per contatto. “Fu arginata solo grazie alle procedure di isolamento nelle strutture sanitarie d’e mergenza – spiega Rezza –. Nel 2016, al termine dell’emergenza si contavano 28.616 casi e 11.310 morti”. Nel 2019, l’Agenzia del Farmaco europea ha approvato la commercializzazione del primo vaccino contro Ebola. È stato somministrato al personale sanitario nell’ultima epidemia in Congo, sia per proteggerlo sia per interrompere la catena di trasmissione. “È tuttora un pericolo per l’Africa centrale – dice Rezza – con quasi 3.500 casi dall’agosto del 2018.”
AVIARIA. Nel 2003, Rezza ricorda il rischio pandemia innescato da virus aviari, in particolare il sottotipo H5N1, un virus degli uccelli selvatici poi trasmesso a quelli domestici e da lì all’uomo. Ha causato la più estesa epizoozia (trasmissione di malattie tra animali) tra volatili, dall’Oriente all’Europa e parte dell’Africa, contagiando quasi 900 persone di cui ne sono morte la metà, secondo l’Oms. La pandemia non si è verificata grazie alla scarsissima capacità del virus di trasmettersi direttamente da uomo a uomo. “Ma non si può escludere che in futuro il virus muti”, aggiunge Rezza.
MUCCA PAZZA. È l’epizoozia che si diffuse tra i bovini in Gran Bretagna a metà degli anni 90. Rientra nelle encefaliti spongiformi trasmissibili, disordini neurodegenerativi a esito mortale, causate da una proteina detta prione. Nel 1996 venne identificata una variante in grado di infettare l’uomo attraverso il consumo di carni bovine infette, con un tasso di letalità quasi del 100%, ma con un numero molto limitati di casi (circa 500 a fine 2010, 4 nel 2017, 231 nel 2018). L’abbattimento di milioni di capi di bovini infetti ridusse la contaminazione anche nell’uomo. La causa della malattia nei bovini fu identificata con il mangime a base di carni ovine (anch’esse serbatoio della malattia) e bovini. “La possibilità di risparmiare denaro riciclando carcasse di animali, inducendo una forma di cannibalismo evidenzia come l’intervento umano possa essere causa di epidemie”, scrive Rezza.
FATTORE CINA. È l’origine di molte epidemie, come l’attuale Covid-19. “Oltre a rappresentare il terreno di coltura primario dei nuovi ceppi influenzali, la densità di popolazione è particolarmente alta – spiega l’epidemiologo –. In più, gli allevamenti misti di maiali e anatre e i mercati di animali vivi ( wet market) permettono a ceppi provenienti da animali diversi di ricombinarsi, dando vita a nuove varianti in grado di infettare l’uomo. Quando si tratta di virus sconosciuti e non c’è vaccino, “le misure più efficaci restano la quarantena di chi risulta positivo e dei loro contatti più stretti – spiega Rezza – e oggi, anche l’interruzione dei voli da e per le aree dei focolai e la collaborazione internazionale”.
Interventi
Le misure efficaci sono quarantena e controlli Su vaccini preventivi nessuno investe