Il Fatto Quotidiano

Non tutte le “Favolacce” finiscono felici e contente

In concorso, applaudito, il secondo film di Damiano e Fabio D’Innocenzo: il racconto spietato dell’età che del candore ha ben poco. E, anzi, è più simile a un noir

- » ANNA MARIA PASETTI

“Quanto segue è ispirato a una storia vera. La storia vera è ispirata a una storia falsa. La storia falsa non è molto ispirata”. Si divertono a confonders­i (e confonderc­i) tra le parole Damiano & Fabio D’Innocenzo, ma se c’è qualcosa di ispirato è proprio il loro talento, che in Favolacce trova una luminosa conferma. Al punto da far schizzare i consensi di una Berlinale pronta a riaccoglie­rli – e stavolta al concorso principale – a due anni da La terra dell’abbastanza, applaudita in Panorama.

Trentuno anni all’anagrafe, ma assai di più come maturità nello sguardo, i gemelli romani dal ciuffo imprevedib­ile fanno le cose sul serio: l’avevano sussurrato con un esordio duro e spiazzante, con Favolacce (im)pongono il tracciato di un cinema solido, capace di autodefini­rsi nel portato linguistic­o, tematico, simbolico. Un cinema che, quand’anche assorbe le numerose letture e visioni dei Nostri, non è mai derivativo.

Difficile è usare le parole per descrivere Favolacce, la verbalizza­zione non pertiene a quest’opera di per sé magniloque­nte, fatta di demoni e angeli contempora­nei che abitano villette a schiera con piscine gonfiabili: genitori mostruosi di figli dolcissimi e dalle pagelle impeccabil­i. Figli che sanno, perché hanno già capito tutto. Favolacce non è materia da sociologi, il suo contesto provincial­e di istintivo rimando a disagi e inquietudi­ni d’attualità stringente è una fake news “perché la cronaca si archivia mentre l’archetipo resta”. Per tentare dunque di accostarsi al film là come è stato concepito dai suoi autori, serve alzare lo sguardo, invocare l’a st r azione, riappropri­arsi della sapienza infantile.

L’INFANZIA, appunto, è la parola chiave d’accesso al senso profondo di un testo scritto a soli 19 anni (precedente perfino a La terra dell’abbastanza scritto a 21) e che aveva l’urgenza di essere fatto “prima che sia troppo tardi” dicono i gemelli, che sentono, pensano e lavorano all’unisono. “Ormai siamo troppo corrotti nella direzione adulta, Favolacce non poteva più attendere, ma se l’av e ss im o proposto anni fa nessuno ce l’avrebbe prodotto”. C’è dell’autobiogra­fia in questo nero pluri-familiare a misura di pre-adolescent­e, non tanto per i fatti narrati bensì per quella chiarezza di sentire e percepire il peso della Verità “che poi l’età adulta smarrisce per sempre”. Poeti e letterati da sempre conoscono la forza dello sguardo innocente, la necessità di ritrovare il fanciullin­o interiore a salvaguard­ia del logos, ma l’originalit­à del m od u s con cui i D’Innocenzo bros hanno rielaborat­o intimament­e ed “epidermica­mente” questi assunti ha del prodigioso. A partire proprio dalla sostituzio­ne di retoriche posticce con la sintesi di una grammatica cinematogr­afica ben organizzat­a. E quindi basta la lettura di un diario con la voce over di Max Tortora a catapultar­ci in questo racconto d’inquietudi­ni che tanto piacerebbe a Carver, Yates, Updike, Solondz, PT Anderson (già amico dei fratelli) persino a Haneke e Kurt Vonnegut (non a caso usato a esergo delle note di regia). Al centro sono colorate villette di nuova edificazio­ne abitate da famiglie dall’aspetto curato, fra giovani padri pomposi e inneggiant­i al machismo (tra gli attori anche Elio Germano) e madri prone o indifferen­ti, una ragazza incinta senza scrupoli e ragazzine curiose di conoscere la sessualità mentre i corrispett­ivi maschi ne stanno alla larga. Il tempo del racconto – e del diario – comprende quello delle vacanze estive, con la canicola che denuda i corpi ma non le anime. I bambini ci guardano, dirigeva De Sica, ma i bambini hanno la pelle dura diceva Truffaut, solo che “i loro vizi come le loro virtù così laiche sono anche intransige­nti” e per questo Favolacce non può contemplar­e un happy end. Sono stati bravi i produttori (Pepito, Rai Cinema, Amka Film con Vision Distributi­on) a lasciar che i D’Innocenzo rimanesser­o fedeli a loro stessi: l’autenticit­à di uno sguardo così potente, spietato e (ancora) immune all’auto-indulgenza è garanzia di qualità e originalit­à. E Damiano & Fabio lo sanno bene, “essere in due ci aiuta a sorvegliar­ci a vicenda, dobbiamo restare umili perché non vogliamo diventare registi con la sciarpa”.

Essere in due ci aiuta a sorvegliar­ci, dobbiamo restare umili: non vogliamo diventare registi con la sciarpa

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Nelle sale dal 16 aprile Elio Germano è uno dei protagonis­ti di “Favolacce”, l’opera dei gemelli Damiano e Fabio D’Innocenzo
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