Riecco i Pokémon: un campionato mondiale e un film
MODE Nuovo film e campionati del mondo: Pikachu è tra noi
Prendete
nota: oggi si celebra, in tutto il globo, il Pokémon Day. Tra gli eventi annunciati per la ricorrenza, spicca l’uscita in prima visione su Netflix del nuovo film.
Prendete nota: oggi si celebra, in tutto il globo, il Pokémon Day. Tra gli eventi annunciati per la ricorrenza, spicca l’uscita in prima visione su Netflix del nuovo film d’animazione targato Pokémon, Mewtwo colpisce ancora. L’evoluzione. Già, perché la prima volta che questi animaletti immaginari partoriti dalla fantasia di Satoshi Tajiri fecero la loro comparsa nell’immaginario collettivo, fu proprio il 27 febbraio del 1996, quando vennero messi in commercio nella madrepatria giapponese i primissimi videogiochi della saga: Pokémon Rosso e Pokémon Verde. Da ragazzo Tajiri errava per i campi a catturare insetti, ma non avrebbe mai immaginato che da questa sua made lei ne proustiana avrebbe preso le mosse uno dei più epocali fenomeni di massa della nostra epoca. Uno dei franchising più popolari dell’industria di intrattenimento per bambini (e non solo), col suo impero internazionale di videogames (ne sono stati venduti più di 346 milioni di esemplari) e app per smartphone, carte-figurine da gioco e 22 pellicole animate, un merchandising a perdita d’occhio e poi naturalmente la seguitissima serie di cartoni animati con 22 stagioni e oltre mille episodi.
SENZA DIMENTICARE le cosiddette “stagioni competitive”: nei giorni scorsi, battendo per 2 a 0 in finale il portoghese Edoardo Cunha, un nostro connazionale, Marco Hemantha Kaludura Silva, ha trionfato ai “Campionati Internazionali Pokémon 2020” svoltisi in Australia. E grazie alla collaborazione tra la Nintendo, che produce il game, e il portale Pokémon Millennium, il torneo è stato trasmesso in tempo reale con un commento tecnico in italiano: 24 ore di diretta e 44 mila spettatori unici. Non male, per una moda che si credeva estinta quasi 4 anni fa. Ve lo ricordate il passatempo più in voga nell’estate del 2016, anche dalle nostre latitudini? Ma anche qui occorre fare una precisazione: no, non è sparita dalla circolazione la febbre (passateci il termine) da Pokémon GO, il gioco mobile per Android e Ios basato sulla realtà aumentata e sul Gps. Anzi, il 2019 è stato l’anno in cui ha incassato di più. Dal luglio del 2016 hanno varcato la boa del miliardo i suoi download, e visto che l’applicazione si regge sugli acquisti in-app (per andare avanti, i giocatori cambiano soldi reali in “pokémonete”), i ricavi complessivi viaggiano ormai verso i 3 miliardi di dollari. Noi catturavamo con le nostre Poké Ball i mostriciattoli tascabili virtuali dislocati nel mondo reale. Noi brancolavamo in trance per parchi e strade, dentro musei, negozi e ristoranti, alla fermata della metro, sintonizzati sulla lunghezza d’onda clandestina delle vibrazioni del nostro cellulare, per smascherare e far prigioniero il Pikachu o Bulbasaur, Spearow o Rattata di turno.
Noi continuiamo a cacciarli e a brancolare intrepidamente, giusto in forma più smorzata; a partecipare ai “raid”, alle sfide “in palestra”, a essere pronti a tutto per un “bonus caramella” o una spruzzata di “polvere di stelle”… Ma più cammini con Pokémon Go, più “uova si schiudono”, vuoi mettere. Lo scorso ottobre, in una zona safari di Nuova Taipei, in Taiwan, si sono dati battaglia 327 mila appassionati (sempre nel gergo iniziatico, gli “allenatori”) dai 4 angoli della terra. Hanno percorso 4 milioni e 500 mila chilometri e catturato una marea di 50 milioni di Pokémon. Una delle più grosse battute di caccia alternative della storia. Una pagina in AR degna della sopraccitata, fantastica summer 2016. Con le città e le campagne prese d’assalto da queste torme di teenager e fanciullini in doppiopetto, con lo sguardo incollato al proprio smartphone, usato come un’arma di precisione per disinnescare e accalappiare personaggi visibili solo nella propria allucinazione in 4G. Quando proliferarono amicizie e amori, vacanze, menu e hotel ad hoc. E abbondarono gli incidenti di percorso, legati a filo doppio di nanotecnologia con l’app dell’anno o del secolo. La cronaca narrò di sinistri tra automobili, pedoni travolti da automobilisti intenti a interagire con i folletti invece di rispettare le regole della strada, Pokémon-busters in sindrome post-solipsistica scambiati per ladri o che rischiarono di finire su un binario mentre stava sfrecciando un treno. Rinvenimenti casuali di cadaveri, incontri ravvicinati con maniaci di ogni tipo. Non mancarono i morti, e le cadute nel pessimo gusto: furono piazzati mostriciattoli persino nel campo di concentramento di Auschwitz. In fondo l’epidemia da Pokémon Go ricorda un po’, a livello di alienazione universale, quella del coronavirus. Ma almeno questi altri piccoli organismi paralleli ci spingevano a uscire fuori di casa.