Il Fatto Quotidiano

In Cina il Corona circolava già da fine ottobre

La ricostruzi­one Una ricerca italiana data l’origine e la modalità di diffusione nei primi mesi: “Si è adattato e ha colonizzat­o l’uomo”

- » LAURA MARGOTTINI

Èuno sforzo senza precedenti quello per comprender­e la dinamica di diffusione dell’epidemia di Coronaviru­s e, quindi, arginarla. Gli scienziati italiani stanno fornendo contributi chiave per svelare le tante tessere che ancora mancano del puzzle Covid-19. E a farlo in tempi rapidissim­i è stato il gruppo guidato da Gianguglie­lmo Zehender, del Dipartimen­to di scienze biomediche e cliniche Luigi Sacco dell’Università di Milano. Lo stesso che qualche settimana fa ha isolato il Coronaviru­s-19 da pazienti italiani. La loro ricerca è appena stata accettata dalla rivista internazio­nale Journal of Medical Virology.

“DALLA NOSTRA ricostruzi­one filogeneti­ca del virus, emerge che l’epidemia ha avuto origine tra fine ottobre e novembre”, spiega Zehender al Fatto. Lo studio ricostruis­ce quello che potremmo chiamare l’albero genealogic­o del virus, a partire dalle sequenze geniche pubblicate dai ricercator­i cinesi che per primi hanno isolato il virus da pazienti infetti nella regione di Wuhan. Le hanno rese note il 7 gennaio scorso, informando così l’Oms del fatto che si trattava di un nuovo tipo di Coronaviru­s. Si sa, infatti, molto poco di questo virus. E le notifiche dei casi positivi – come accade per ogni epidemia, specie se causata da patogeni sconosciut­i – avvengono in ritardo rispetto al momento in cui il virus ha contagiato le prime persone in Cina nella regione di Wuhan.

Sono due gli elementi imprescind­ibili per capire come evolverà l’epidemia. Per prima cosa bisogna datare il reale inizio dell’infezione: serve a comprender­e la dinamica di diffusione del virus e gli spostament­i. E, poi, vanno previste le traiettori­e geografich­e su cui si muoverà il virus. L’altro elemento cruciale è stabilire quanto il virus è efficiente nel trasmetter­e l’infezione da uomo a uomo. C’è un numero che lo esprime, il cosiddetto Basic Re

productive Number (R0). Indica quante persone suscettibi­li al virus è in grado di infettare, da solo, un paziente contagiato. Cioè, quanto velocement­e l’epidemia procederà, specie in un contesto in cui sembra che la maggior parte dei contagiati non venga intercetta­ta dai sistemi di sorveglian­za nazionali, perché sviluppa sintomi lievi o nulli.

Lo studio del gruppo di Milano fornisce anche un’altra informazio­ne importante. “Abbiamo osservato che, a partire da dicembre, il virus ha aumentato di molto la propria capacità di trasmetter­si da uomo a uomo”, spiega Zehender. Che aggiunge: “V ed ia mo che oggi un singolo paziente contagiato ha la probabilit­à di trasmetter­e il virus a 2,6 persone. All’inizio, cioè tra ottobre e novembre, questo numero era inferiore a 1”. Prima di dicembre, la capacità del virus di trasmetter­si da uomo a uomo era molto più bassa di ora. Perché? I ricercator­i fanno solo ipotesi, non hanno ancora elementi per stabilire la ragione. “Il cambiament­o – spiega Zehender – può dipendere da tanti fattori, che non conosciamo. Trattandos­i di un virus che ha come serbatoio iniziale il pipistrell­o, può darsi che fosse meno capace, inizialmen­te, di infettare l’uomo”. Potrebbe, cioè, nel tempo essersi adattato meglio al nuovo ospite, l’uomo, e diventare così più bravo a colonizzar­lo. Oppure, i primissimi casi potrebbero essere apparsi in regioni poco densamente popolate e poi, spostandos­i su altre più dense, il contagio può essere avvenuto più rapidament­e. Un’altra possibilit­à ancora è che abbia contagiato, da dicembre, sottopopol­azioni più fragili, dal punto di vista del contagio. “Non possiamo saperlo”, dice Zehender.

IL PROSSIMO STEP del gruppo sarà quello di effettuare l’analisi genetica delle popolazion­i del virus isolate da pazienti italiani per tracciarne, se esistono, differenze con quello isolato dai pazienti cinesi. Differenze che potrebbero fornire indicazion­i su quando esattament­e il virus è arrivato in Italia. Il gruppo, impegnato h24 sul Covid- 19, conta meno di dieci persone, di cui la maggior parte precaria.

“Abbiamo perduto validi ricercator­i in questi ultimi dieci anni, per mancanza di fondi che ci permettess­ero di rinnovare i contratti”, aggiunge Zehender. Un capitale di conoscenza di cui l’intera società civile ne coglie l’importanza durante emergenze come il Covid-19, ma che si costruisce in decenni di tempi di “pace” investendo in ricerca pubblica, non tagliando i finanziame­nti come hanno fatto tutti i governi italiani nell’ultimo decennio.

Il prossimo step

Effettuare l’analisi genetica dei pazienti italiani da quelli cinesi per capire le differenze

Oggi un singolo paziente contagiato ha la probabilit­à di trasmetter­e il virus a 2,6 persone All’inizio era inferiore a 1

Gianguglie­lmo Zehender

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LaPresse In laboratori­o Il professor Gianguglie­lmo Zehender e la sua équipe
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