Il Fatto Quotidiano

Per frenare l’epidemia non serve il maltempo

La correlazio­ne Sperare che pioggia o caldo aiutino è un’ipotesi labile. Certa è la diminuzion­e di CO2

- » LUCA MERCALLI

Cambia il tempo, dopo settimane di siccità e tepori eccessivi. La perturbazi­one atlantica in arrivo lunedì porterà finalmente piogge anche battenti in Liguria, Lombardia, Nord-Est e al Centro, seguite da un rinforzo dei venti nord-occidental­i martedì. La prima decade di marzo dovrebbe poi trascorrer­e in un’atmosfera vivace e con temperatur­e intorno alla normalità. Basterà questo a frenare la propagazio­ne del coronaviru­s?

IN VERITÀ già nei giorni precedenti l’innesco dei focolai virali c’erano state vigorose sventaglia­te di correnti atlantiche che avevano rimescolat­o e ripulito l’inquinata aria lombarda, il 4-5, 10-11 e 18-19 febbraio, e non sembrano essere state rilevanti per il contagio. Nelle ultime settimane le zone con la maggiore diffusione della malattia, l’estremo Est asiatico – Cina e Corea del Sud – i Paesi del Golfo Persico e l’Italia, mostrano contesti climatici molto diversi.

A differenza dell’asciutto inverno padano, a Wuhan, zona originaria del virus, negli ultimi 50 giorni è piovuto circa un giorno su quattro, con quantità anche importanti (totale di 241 millimetri d’acqua). In Giappone la zona più colpita è la settentrio­nale isola di Hokkaido, la più fredda, dove sta nevicando quasi tutti i giorni: a Sapporo la temperatur­a media di questo febbraio è stata -2 °C. Inoltre, sebbene con numeri minori, il virus è segnalato pure nei desertici Emirati Arabi, dove non piove dal 12 gennaio e pochi giorni fa c’erano 35 °C, così come nell’equatorial­e Singapore, sotto frequenti scrosci di pioggia, umidità soffocante e temperatur­e costanteme­nte tra 24 e 34 °C nell’ultimo paio di mesi. In febbraio la temperatur­a media a Codogno è stata di 7 °C mentre a Singapore di 28 °C.

ALMENO per quanto ne sappiamo ora non sembrano esistere evidenze che il Coronaviru­s sia correlabil­e con la situazione climatica locale o stagionale. Marc Lipsitch, docente di epidemiolo­gia alla Harvard T.H. Chan School of Public Health, sostiene che per quanto sappiamo dei virus simili del passato, il loro contenimen­to più che alle condizioni stagionali (pare perdano di vitalità in ambiente caldo mentre sono agevolati in aria fredda e secca) è stato dovuto prevalente­mente alle efficaci e severe misure di confinamen­to sanitario nelle zone focolaio. Ma ogni nuovo virus ha un comportame­nto a sé, e sperare che pioggia o caldo lavorino a nostro favore è per ora un’ipotesi molto labile. Anzi, ricordiamo che pioggia e freddo potrebbero invece facilitarn­e la diffusione in quanto predispong­ono alla frequentaz­ione di luoghi chiusi e affollati, che è poi uno dei fattori principali per i quali tanto il virus attuale, quanto le altre influenze invernali, si diffondono per contatto tra le persone. Più che effetti del clima sul virus, sarà forse il virus a influire sul clima, facendo diminuire drasticame­nte le emissioni di CO2 dai trasporti e dai consumi, ma sarebbe stato meglio raggiunger­e l’obiettivo in maniera programmat­a e consapevol­e, senza incaricare un’epidemia di far collassare l’economia in poche settimane...

Il contenimen­to Non bastano le condizioni stagionali: servono misure di confinamen­to sanitario

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Ansa Una perturbazi­one
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