Il Fatto Quotidiano

“Parole fuori posto, deciderà il vescovo”

“La nostra Chiesa è contro le ’ndrine e non può essere screditata”

- » GIAMPIERO CALAPÀ

“La Calabria non è tutta connivente con la ’ndrangheta”. A monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’a mm i n istrazione del patrimonio della Sede apostolica, ieri non è ancora arrivata l’eco delle parole di don Marco Larosa, il parroco di Sa nt’Eufemia d’A spro mon te che si è dichiarato “super partes” tra gli arrestati accusati di mafia e lo Stato. “Non conosco la persona, ma se è come dice lei la mia storia parla per me”. Galantino guidava la diocesi di Cassano allo Jonio in quel terribile gennaio 2014 del brutale assassinio del piccolo Cocò Campolongo, 3 anni; nel giugno successivo il vescovo ottenne la visita in Calabria di papa Francesco che pronunciò parole storiche: “La ’ndrangheta è adorazione del male. E il male va combattuto, bisogna dirgli di no. La Chiesa deve sempre più spendersi perché il bene possa prevalere.

I mafiosi sono scomunicat­i, non sono in comunione con Dio”. Monsignore, oggi c’è un prete a Sant’Eufemia che invece si dichiara “super partes” ai microfoni di una tv locale.

Non sarà la parola fuori posto di un prete a far diminuire o screditare l’impegno della Chiesa calabrese contro la ’ndrangheta. Sappiamo bene da che parte stare. La questione, se quelle parole possono essere giuste o sbagliate, non si può nepp u r e d iscutere.

Secondo lei quindi è un caso isolato quello di Sant’E ufemia?

Ripeto che non ho avuto modo di ascoltare le parole che mi riferisce in questo momento. Ma se così è io dico che i vescovi di Calabria si sono più volte espressi in maniera netta e chiara. È bene, per capire cosa pensa la Chiesa della ’ndrangheta, far riferiment­o alle loro parole e a fior di sacerdoti in prima linea ogni giorno anche a rischio della propria vita.

Infatti, parole come quelle di don Marco Larosa non rischiano di danneggiar­e un così prezioso lavoro?

Non può essere danneggiat­o da una tale sciocchezz­a il lavoro di preti come don Pino de Masi (sacerdote di Polistena e referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro, ndr) e don Giacomo Panizza (fondatore del Progetto Sud di Lamezia Terme, ndr). I nomi che le faccio, come vede, esprimono anche una certa qualità, un notevole spessore umano. Quindi in Calabria abbiamo quantità e qualità dalla parte della lotta contro le ’ndrine. Aggiungo: non solo nella Chiesa. Anche tra i laici c’è chi sta in trincea, chi rischia la pelle. È importante non dimenticar­lo. Perché la lotta delle persone che non appartengo­no alla Chiesa può essere ancora più difficile. Che cosa evoca la parola ’ndrangheta?

Illegalità. Sopruso. Sofferenza di persone costrette a vivere in un sistema di violenza e intimidazi­one.

Saranno presi provvedime­nti contro don Larosa per quelle affermazio­ni?

Il vescovo di Oppido Mamertina, Francesco Milito, è molto più impegnato di me nella lotta alle mafie. Compete a quella diocesi, non a Roma. Sono sicuro che deciderà per il meglio quando avrà verificato l’accaduto.

Ci sono ogni giorno in trincea sacerdoti come don De Masi e don Panizza a rischiare anche la vita

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