Il prete: “Super partes fra mafia e magistrati”
Mons. Galantino: “Parole gravi”
■Il parroco di Sant’Eufemia d’Aspromonte, padre Marco Larosa, decide di posizionarsi a metà strada tra la giustizia e la ’ndrangheta. Il procuratore Giovanni Bombardieri: “Sono sconcertato, che direbbe papa Francesco?”
“Sono super partes”. Le parole del parroco di Sant’Eufemia d’Aspromonte, don Marco Larosa, arrivano come pugno nello stomaco il giorno dopo la maxi-inchiesta Ey phemos della Dda di Reggio: 65 persone arrestate ta cui sindaco, vicesindaco, presidente del consiglio comunale, un consigliere d’opposizione e un dirigente. Tutti sarebbero stati in combutta con la cosca Alvaro di Sinopoli, un paesino che se non fosse per quel chilometro di statale, con gli uliveti e il cimitero nel mezzo, sarebbe attaccato a Sant ’ Eufemia. Una ’ n dr a ngheta che controlla il respiro delle persone, gli appalti e pure il palazzo comunale dove è già arrivato il commissario prefettizio. Ma quando Agostino Pantano, giornalista della tv locale LaC, si presenta alla porta del parroco, don Larosa davanti alle telecamere commenta così la notizia degli arresti: “Sono super partes”.
È SCONCERTATOil procuratore Giovanni Bombardieri: “Se pensiamo al forte e deciso messaggio lanciato da papa Francesco, dalla Piana di Sibari qualche anno addietro, di scomunica dei mafiosi e di netto no alla ’ n d ra n gh e ta , sconcerta sentire affermazioni che mettono sullo stesso piano organizzazioni criminali mafiose e istituzioni. Nella lotta alla ’ndrangheta – rincara la dose Bombardieri – non ci sono parti, ci sono le istituzioni che contrastano un male, come definita la mafia calabrese dal Santo Padre, che va combattuto, allontanato”.
Ieri pomeriggio don Larosa non era in casa. Una donna si affaccia: “Lo trovate in chiesa, al paese vecchio”. È il giorno delle “quarantore eucaristiche” e il parroco sta pregando davanti all’altare. Dietro di lui, tra i banchi della chiesa dei Santi Cosma e Damiano ci sono sette fedeli, sei donne e un uomo. Lo aspettiamo ma la preghiera è lunga e decidiamo di avvicinarci. Non ha voglia di parlare ma una cosa però la dice: “La mia frase è stata fraintesa. Quel servizio è stato manipolato, montato e smontato come hanno voluto”. Prova a raddrizzare il tiro: “Io condanno il comportamento della ’ndrangheta”, ma subito dopo ci ricasca: “Sto cercando di insabbiare la cosa perché altrimenti si creano troppi fraintendimenti. Mi fido del lavoro della magistratura, che faccia le sue indagini. Noi le aspettiamo. Ci sono delle famiglie che stanno soffrendo”. La famiglia degli Alvaro di Sinopoli, ad esempio. E “insabbiare”, quindi, usa questa parola. Un altro scivolone è dietro l’angolo e arriva puntuale: “Il mio silenzio voleva tutelare il lavoro della magistratura e le famiglie coinvolte. La comunità sta pregando perché il Signore possa toccare i cuori di chi sta svolgendo le indagini e possa consolare quelli di chi sta soffrendo”. Un ragazzo e una signora all’uscita della chiesa: “Se vuole Dio speriamo di uscirne. Hanno unito le rose con le ortiche. Ci sono famiglie sconvolte e amici distrutti”. Questo è il clima. E in piazza è anche peggio: “Tra gli arrestati c’è gente che non c’entra niente”. E ancora: “È una bufera. Il sindaco era un finanziere, mentre il vicesindaco è un maresciallo dell’esercito”.
CHI INDIFFERENTE non lo è proprio è Giuseppe Pentimalli, professore di latino e in passato più volte sindaco col Pci. Ci ospita nel suo studio. È nauseato dall’atteggiamento dei suoi concittadini: “Il comune sarà sciolto per mafia, ma qui si preoccupano più di alcuni soggetti arrestati. C’è una mentalità omertosa nei confronti di queste persone. Questa è la realtà tragica purtroppo. C’è stato un mutamento generazionale a Sant’Eufemia da venti anni a questa parte. A livello antropologico prima c’era una contrapposizione tra Sant’Eufemia civile e Sinopoli arretrata. Adesso la gente si preoccupa degli scagnozzi. Parliamoci chiaro, il paese di Sant’Eufemia subisce la peggiore feccia umana”. Ma ha sentito l’ex sindaco Pentimalli cosa afferma addirittura il prete? “È una figura incolore e scialba. Pensi che morì un mio amico e i parenti mi pregarono di dire qualcosa. Non l’ho potuto fare perché avrei dovuto scrivere il testo e sottoporlo alla censura di don Larosa. Mi ha impedito di parlare”.